E’ uno degli inceneritori in funzione con alle spalle più storia, quello gestito da Accam. Raccoglie i rifiuti di 27 Comuni, come capofila Busto Arsizio (VA). Eppure versa in condizioni (economiche) precarie. Dopo l’incendio che ne ha colpito le turbine lo scorso 14 Gennaio, causandogli danni per 1,4 milioni, ha dovuto sborsare 1,5 milioni di euro per smistare i rifiuti in altri impianti. A questo punto si è giunti allo showdown, cosa faranno i soci?
Al momento, per il presidente Bellora, ci sono tre scenari: messa in liquidazione, vendita e riconversione. L’ultima è, ovviamente, subordinata al reperimento dei 2,9 milioni che probabilmente saranno divenuti 3 da qui al 28 Febbraio, giorno in cui è prevista la convocazione dei soci di Accam. La quota maggioritaria ce l’ha il comune di Busto Arsizio, che dovrà decidere se accollarsi l’onere del rilancio. La scelta non si preannuncia facile: i soldi non sono pochi e ci sono dei posti di lavoro in ballo.
L’inceneritore non è nuovo a polemiche. A metà Novembre due deputati dei Cinque Stelle avevano chiesto ufficialmente a Fontana di chiuderlo, data la vetustà dell’impianto. Erano arrivati a portare le proprie doglianze fino al ministero dell’ambiente. “Chiuderlo è possibile a normativa vigente” sostenevano, e probabilmente vieppiù sostengono ora, Niccolò Invidia e Riccardo Olgiati con Claudia Cerini, consigliere comunale a Busto Arsizio.
Ovviamente la situazione è critica, speriamo che l’amministrazione della società sappia trovare le migliori soluzioni. L’emergenza rifiuti, per quanto finora gestita nella migliore delle maniere possibili, è troppo importante per cadere vittima di una guerra ideologica per bande.