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    Giovani e mondo del lavoro visti dall’ombelico di Milano: il caso Bocconi

    Essere al centro del mondo Milanese non mette al riparo dall’ansia di esclusione del mondo del lavoro. E già questa è una notizia. Ma come ci si attrezzi per affrontarla, come si combatta per il successo e con quali mezzi si tenti la scalata cambia tutto. Parliamo di uno dei maggiori casi di successo in Italia, quello del mondo Bocconiano. E lo facciamo con chi rappresenta i giovani colleghi nella facoltà: Francesca Sacchi, fondatrice di IUS@B, e rappresentante degli studenti alla Scuola di Giurisprudenza.

    1. Cosa vedete come principale barriera per entrar nel mondo del lavoro?

    Mancanza di opportunità. Purtroppo, riuscire a fare quello che ci piace non è così scontato. In Italia anzi, ci sono settori dove l’ingresso è veramente difficile, oppure bisogna scendere a compromessi per poter fare ciò che ci si è preparati a fare. Faccio un esempio che mi è vicino, quello degli studi legali: non è un segreto che, soprattutto all’inizio, in diversi posti gli stipendi siano molto bassi (e che rimangano tali anche per anni), mentre il carico di lavoro e di responsabilità sia molto elevato. Per un tirocinante è praticamente normale uscire dall’ufficio ben oltre l’orario di cena a fronte di un salario che gli consente a malapena di pagarsi l’affitto. Ma io mi chiedo, è davvero giusto che sia così? Non tutti possono stare a queste condizioni e ciò scoraggia i giovani.

    1. Cosa vorreste dal mondo imprenditoriale?

    Più fiducia nei giovani: per laurearci ci servono anni di studio e sacrifici, ma a volte ci sembra che questo non venga adeguatamente valorizzato. Non parlo solo di salari adeguati al proprio titolo di studio, ma mi riferisco anche a poche possibilità di crescita, e al vortice di tirocini e stage in cui rischiamo di finire, senza poter trovare una qualche azienda interessata a investire veramente su di noi. Questa sarebbe la cosa più importante. Siamo tutti pronti a darci da fare, ma vorremmo sapere che i nostri sforzi non andranno a vuoto e che con il tempo saranno ricompensati.

    Un’ottima iniziativa sono i graduate program, che selezionano così talenti da far crescere all’interno della propria impresa. Anche i programmi di mentoring sono utili per migliorare velocemente le proprie competenze ed essere guidati all’inizio del proprio percorso lavorativo.

    1. Come vedete, a livello di skill pratiche, la formazione Universitaria?

    Sono convinta che l’Università Bocconi sia un’eccellenza in questo campo. L’Università adotta un approccio poco tradizionale nell’insegnamento delle proprie materie e questa è la sua forza. Lo studio delle lingue straniere e dell’informatica è, per esempio, presente in tutti i corsi di laurea. Inoltre, il nuovo piano studi per Giurisprudenza prevede numerosi esami che saranno impartiti in lingua inglese e un esame di coding obbligatorio. Vi è poi il progetto “legal clinic”, grazie al quale gli studenti prestano assistenza legale pro-bono presso il carcere di Bollate o a nuove start up bisognose di consulenza. Non ultimo, il programma exchange: trovo che passare un semestre in un altro paese, europeo o non, sia un momento di crescita fondamentale per uno studente.

    In linea generale però, credo che la mancanza di skill pratiche sia uno dei principali problemi dell’istruzione italiana. È difficile riuscire a svolgere stage durante il proprio percorso accademico, e invece questi andrebbero assolutamente incentivati. Non dobbiamo dimenticarci che l’Università serve proprio a guidarci verso l’inserimento lavorativo, e quindi il dialogo fra aziende e Università dovrebbe essere maggiore, anche per permettere alle stesse istituzioni di capire che tipo di abilità un’azienda italiana si aspetta dai laureati del nostro paese. Siamo fortissimi nella teoria, ma, quando ci chiedono di fare qualcosa di pratico, non sappiamo da che parte iniziare. Una persona dovrebbe apprendere competenze, non nozioni. Le nozioni invecchiano e diventano inutili, le competenze rimangono per sempre.

    1. Quanti di voi, nella tua esperienza, sono pronti a rischiare mettendosi in proprio?

    Fra i miei colleghi vedo una gran voglia di farlo. Tanti hanno idee innovative e voglia di costruire qualcosa di loro. Alcune di queste start-up stanno anche avendo un discreto successo, altre sono ancora in fase embrionale. Credo che questo sia estremamente positivo, significa che i giovani hanno ancora fiducia, credono di potersi realizzare e non perdono tempo. Cercano qualcuno che investa su di loro, e, quando lo trovano, nascono spesso progetti molto interessanti.

    1. Nel vostro gruppo ci sono più studenti pronti a emigrare o a restare?

    Quando si parla di giurisprudenza è normale che sia più la gente che vuole restare, anche per le peculiarità della materia, che molto si lega ai confini nazionali. Tuttavia, guardando agli studenti di economia, tantissimi sono quelli che se ne vanno, magari anche solo per continuare gli studi all’estero, sperando poi di fermarsi lì. Molti di questi vorrebbero tornare, ma hanno paura che l’Italia non potrà mai offrire loro le stesse opportunità che troverebbero fuori. Quindi emigrano, sperando di poter fare poi rientro nel proprio paese con un bagaglio di competenze che gli permetta di realizzarsi anche qui.

    Andrea Curcio

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