Deborah Giovanati è una coraggiosa, giovane madre che combatte contro una malattia neurodegenerativa ed è Assessore nel Municipio 9 di Milano. Ed ora deve gestire la chiusura delle scuole con i suoi tre figli a casa. La sua è una bella storia di resilienza che va sicuramente ascoltata.
Parlaci della tua famiglia, hai tre bambini, sei assessore del Municipio Nove a Milano. Insomma, un bel po’ da fare, no? Come si fa a tenere dietro a tutto?
Normalmente in tutti questi anni ci siamo molto autogestititi. Io ho lasciato il lavoro, come assessore dedico la mattina ai cittadini ed il pomeriggio lo lascio ai bambini., con la sera esco per commissioni municipali ed altro. Mio marito è un libero professionista con la responsabilità d’impresa e dei collaboratori. Abbiamo tre figli di nove, sette e cinque anni: tutti tra elementari e scuola materna.
Poi è arrivato il Coronavirus, cosa ha comportato nella famiglia Giovanati?
Ha comportato che i bambini stanno a casa, prima di tutto. Ed io non posso uscire per problemi di salute, ho la Sclerosi Multipla e prendo una terapia che comporta l’abbassamento delle difese immunitarie. I miei genitori lavorano e sono di Cremona, quindi si trovano in una zona difficile. Mio padre è stato in isolamento. I miei suoceri aiutano i miei cognati che fanno più fatica a stare a casa, per cui in questa gestione è tutto sulle mie spalle. Ma non me ne lamento, ci siamo divisi i compiti con mio marito.
In tutto questo il grande assente è lo Stato che non sta erogando i servizi di base, cosa servirebbe oggi alle famiglie numerose?
Non da oggi, ma da ieri, mancano le tutele per le Partite Iva con figli. Se anche io avessi lavorato, come in molti altri casi di amici, magari con i figli alle paritarie, con una retta da pagare e la babysitter sarebbe stato davvero difficile arrivare a fine mese. Servirebbero sgravi fiscali a tutti i livelli, dalla tassa sui rifiuti all’IRPEF, alle detrazioni per le spese dei figli. Poi c’è la questione di libertà educativa, non potersi più permettere la scuola paritaria significherebbe ledere il diritto alla libertà educativa.
Quindi il welfare che volete ce l’avete già in casa e non ne chiedete altro.
Sì ci accontenteremmo che lo stato ci lasciasse la libertà di mettere i nostri figli al primo posto almeno durante le emergenze, lasciandoci tenere i soldi che guadagniamo e risparmiamo con tanta fatica. Non ci sembra di chiedere troppo.
Come si vive questo momento di difficoltà concretamente.
La sfida di oggi è quella di ritrovarsi con i bambini, standoci davanti davvero. Per noi la scuola non è mai stata un parcheggio, ma per far crescere oggi dei bambini ci vogliono molte figure e con molti ruoli. Il tempo della scuola è, o era, anche un tempo per loro. La ricchezza che un genitore produce, in termini di relazioni ed esperienze vissute fuori di casa, poi si riflette sui figli, queste relazioni esterne oggi vengono meno. Non è tempo di vacanze. Rischia di essere un tempo di impoverimento. Cerchiamo di impostargli dei tempi fissi per non fargli perdere il senso del ritmo e gli ripetiamo sempre che questa non è una vacanza. C’è un tempo per ogni cosa e questo non è certo quello della villeggiatura.
Poi viene a mancare il rapporto con gli amici, come risolvete questo problema?
Risolviamo con delle video chiamate, anche con i nonni di Cremona o i cugini. Ho l’ansia terribile delle reazioni scomposte dei vicini, non posso lasciar giocare troppo i bambini perché non vanno al parco. Per cui loro vorrebbero fare le stesse cose in casa, ma io temo sempre che facciano troppo baccano.
Quindi stanno sempre in casa?
Ma no! Sabato scorso mio marito li ha portati tutto il giorno al parco poi martedì un’altra ora e mezzo con un’amica. Ma per loro che erano abituati a stare sempre fuori è un cambio radicale di prospettiva. Va però detta una cosa: loro si fanno tanta compagnia, hanno scoperto i fratelli ed il rapporto familiare. Tra un litigio e l’altro, quanto meno. Si fanno forza tra di loro ed è una cosa davvero bella.
Ma i bambini hanno paura?
Loro sanno, lo sapevano del Coronavirus anche prima della crisi attuale, chi mi fa più domande è quello di 9 anni. Mi ha chiesto se si possa morire. Non è comunque fobia, è solo un po’ di preoccupazione. Si fidano dei genitori. È l’esempio che fa molto. Certo, bisogna spiegare le cose ai bambini con linguaggio adatto ma poi, come in tutte le circostanze e non vale solo per i bambini, è l’esempio che conta!