Una catena di comando frammentata, contratti stracciati, prezzi maggiorati. L’incapacità del governo di gestire la crisi di mascherine.
È caos mascherine. Dopo più di un mese dall’inizio del contagio in Italia, mancano ancora approvvigionamenti essenziali perché gli operatori sanitari possano curare i pazienti affetti da coronavirus in sicurezza. I primi a denunciare questa mancanza sono stati ovviamente i medici ma ormai anche la protezione civile e il governo ammettono che c’è una «discrepanza» per cui le mascherine non riescono ad arrivare dove sono più urgenti.
Questo problema ha diverse sfaccettature: secondo quanto previsto dal piano pandemico nazionale, un documento del ministero della Salute stilato su raccomandazione dell’Oms e aggiornato l’ultima volta nel 2016, il governo italiano avrebbe dovuto implementare delle misure preventive per prepararsi in caso si scateni una pandemia. Nella prima fase del piano, quando il rischio contagio è basso, è prevista la costituzione di scorte di materiale dpi. Operazione che non è stata fatta e che ci ha costretto ad una rincorsa quando è scoppiato il contagio.
Ma un errore può servire da lezione per non commetterne più. Non nel nostro caso evidentemente. Per ammissione degli stessi vertici preposti alla gestione dell’emergenza, Roma spedisce tot mascherine verso alcune regioni, ma purtroppo ne arrivano solo una parte. Secondo quanto riportato da Repubblica, in Lombardia, per esempio, la protezione civile avrebbe portato 1,9 milioni di mascherine chirurgiche e 604.520 di tipo professionale nell’ultimo periodo. Tuttavia alla regione questi numeri non tornano: sembra che ne siano disperse circa 400mila. Al contrario, in Emilia Romagna e in Toscana sono arrivate più del doppio delle mascherine richieste. Come mai? Non è chiaro dove si inceppi il meccanismo, sicuramente c’è un elemento che contribuisce fortemente a questa situazione e che affligge il paese da tempo: la burocrazia.
Siamo a fine marzo e la catena di comando è a dir poco frammentata: è stata creata la figura del commissario agli acquisti e alla produzione che dovrebbe coordinare gli approvvigionamenti, ma parallelamente si muove una pletora di compratori quale la protezione civile, consip, le regioni, le asl e le fondazioni benefiche. Siamo tra i paesi con più contagiati eppure si moltiplicano gli episodi di aziende nazionali e internazionali che annullano i contratti in base ad un improvviso “esaurimento scorte” salvo poi rivendere gli stock ad altri stati a prezzi maggiorati. La situazione continua a essere drammatica: la sola regione lombarda avrebbe bisogno di 300mila mascherine chirurgiche al giorno mentre il fabbisogno dell’Italia è di 90 milioni di mascherine al mese. E mentre noi tentenniamo, altri paesi ci soffiano i carichi dei venditori internazionali.
Quindi che si fa? Al solito: ci si arrangia. Si moltiplicano le iniziative private come la storia riportata dal Corriere del vicesindaco di Sommariva Bosco che ha fatto realizzare 3500 mascherine a un laboratorio artigianale per tutte le famiglie del paese. O le diverse fondazioni collegate ai vari ospedali che, in coordinamento con aziende locali che riconvertono la produzione, riescono a reperire alcuni pezzi per i medici e infermieri in prima linea. È sconsolante vedere come i privati arrivino dove il governo non riesce, con la differenza che le quantità necessarie di mascherine possono e devono essere reperite solamente a livello centrale. Cioè il luogo dove regna il caos.
Simone Fausti