Vogliamo ringraziare l’Avv. Maurizio D’Amico Member of Executive Board di Femoza, Federazione Mondiale delle Zone Franche e delle Zone Economiche Speciali per aver voluto condividere con noi la sua conoscenza del tema Zes.
1. Le Zes sono per molti un oggetto misterioso, ce le potrebbe raccontare meglio, Avv. D’amico?
Dal punto di vista concettuale le Zone Economiche Speciali sono aree geograficamente delimitate, talvolta disabitate (aventi un’estensione generalmente maggiore di una zona franca doganale) nelle quali vigono leggi economiche più liberali di quelle generalmente presenti nel Paese all’interno del quale vengono istituite. Oltre alla concessione di agevolazioni essenzialmente di natura doganale, fiscale e contributiva (riguardanti ad esempio le imposte indirette e le imposte dirette, i tributi locali, i contributi previdenziali), sono previsti vantaggi finanziari e di tipo amministrativo per le imprese, con agevolazioni di carattere infrastrutturale, nonché benefici socio-economici per i lavoratori che operano al loro interno.
Le ZES si caratterizzano, in particolare, per la maggiore capacità di catalizzare investimenti diretti esteri e per essersi rivelate un efficace strumento di accelerazione dello sviluppo economico offrendo anche una diretta connessione con i mercati esteri e le reti di produzione globale.
Inoltre le oltre 5400 ZES attualmente operative a livello mondiale, sono soprattutto diventate nodi importanti che guidano ed indirizzano il commercio internazionale, riuscendo ad agevolare il trasferimento di tecnologia e di industria 4.0, e, nelle sue ultime evoluzioni, l’implementazione della tecnologia 5G, nonché fungendo da acceleratore di start-up.
Le ZES offrono una via immediata per l’assorbimento di surplus di domanda di lavoro, e quindi contribuiscono alla diminuzione del tasso di disoccupazione nonché al miglioramento, nel medio e lungo termine, del livello di qualificazione della forza lavoro locale.
2. Ci potrebbe fare degli esempi pratici?
Rilevano soprattutto le esperienze della Cina, degli Emirati Arabi Uniti, dell’India, della Russia, degli USA a livello mondiale, nel Bacino Mediterraneo soprattutto quelle del Marocco, ma anche di Egitto e Turchia.
Il panorama dell’Unione Europea, oltre in passato ad esempi vincenti irlandesi (su tutti la Shannon Free Zone), offre il modello delle cd. “tigri baltiche”, e soprattutto quello della Polonia, ossia l’unico Paese europeo e dell’UE a non aver risentito della crisi recessiva iniziata nel 2009, ed anzi, uno dei più importanti Paesi al mondo come capacità attrattiva di investimenti esteri. Soprattutto tra il 2005 e il 2012 grazie alle ZES la Polonia è stata in grado di catalizzare circa 170 miliardi di euro di investimenti ponendo il Paese al 3° posto per attrattività dopo Cina e Usa.
Dalla prima ZES realizzata nel 1995 alla fine del 2018 risultavano essere stati creati quasi 380.000 posti di lavoro. Alla fine del 2018, il valore totale degli investimenti catalizzati è stato di quasi 30 miliardi di euro.
Un esempio valga per tutte: la Zona Economica Speciale di Katowice. Essa annovera gli insediamenti di numerose società italiane, alcune delle quali anche molto famose, ed è stata considerata la migliore ZES europea nel 2015, 2016 e 2017 nonché al primo posto in Europa e la seconda migliore al mondo nel 2019. L’anno scorso ha attratto investimenti per un valore complessivo di 0,82 miliardi di euro. Attualmente operano al suo interno ben 400 aziende: finora sono stati investiti 8,46 miliardi di euro e sono stati creati circa 80.000 posti di lavoro.
3. E’ ipotizzabile che una Zes Lombarda impatterebbe significativamente sulla ripresa post covid?
Sono assolutamente certo di ciò. Il rischio di una recessione globale determinata dal lockdown, potrebbe provocare una reazione sull’offerta e sulla domanda aggregata, e la creazione di un panorama diffuso di crediti in sofferenza: il già strutturalmente difficile accesso alla liquidità, diverrebbe un vero e proprio miraggio soprattutto per le numerose micro, piccole e medie imprese (che caratterizzano il tessuto economico lombardo ed in generale quello italiano), le quali prive della garanzia di rapido cash flow, potrebbero giungere ad una situazione fallimentare.
Certamente è necessario un aumento del flusso di liquidità per il sistema produttivo. Ma potrebbe non bastare, se tale iniezione di liquidità verrà alimentata quasi esclusivamente da finanziamenti “a debito”, da qualsiasi fonte provengano sia essa nazionale od UE, il beneficio reale nel medio e lungo periodo diventerà evanescente. Inoltre tale strategia inevitabilmente, per compensare l’ovvio aumento del debito pubblico, comporterà ulteriori successivi aggravi su famiglie e imprese. Invece ritengo che se si vuole veramente aiutare il mondo produttivo a ripartire con vigore bisogna assicurargli concretamente un ambiente operativo business-oriented, dove il regime applicato sia molto più coerente con le esigenze delle imprese.
Garantire questo sarebbe già sufficiente: ci penserebbero poi fantasia, laboriosità, qualità degli imprenditori italiani e del brand “Made in Italy” a rendere presto nuovamente competitivo il settore produttivo. Mai come ora la politica e le istituzioni dovrebbero assecondare le esigenze oggettive del mondo produttivo, l’unico che sa bene cosa serve sui mercati internazionali, dove quotidianamente si confrontano con i competitors esteri.
Tuttavia per garantire un orizzonte positivo il modello prescelto non dovrebbe corrispondere al simulacro di ZES attualmente contemplato nel Decreto-Legge 91/2017 e nelle successive modifiche ed integrazioni, in quanto esso non corrisponde né per l’entità delle agevolazioni e dei benefici previsti, né per il quadro della governance prescelta, alle ZES vere e proprie unanimemente riconosciute come vincenti a livello internazionale.
A tale riguardo proiettando il discorso sul piano nazionale, la mia idea è imperniata su un single approach. Bisognerebbe istituire per un periodo determinato una Zona Economica Speciale di “Salvaguardia” dell’intero patrimonio produttivo nazionale che è ora in grave pericolo (anche in relazione a possibili rischi di speculazioni internazionali), in quanto non ha mai conosciuto dall’ultimo dopoguerra ad oggi una simile situazione. Una riprova dell”attendibilità di tale approccio sta nel fatto che alcuni Stati, già dotati di ZES sul proprio territorio, per fronteggiare le conseguenze economiche del Covid-19 stanno estendendo il più possibile le superfici originarie assoggettate ai regimi favorevoli alle imprese.
4, Cosa possiamo fare per sensibilizzare le istituzioni sul tema?
Anzitutto sarebbe necessario alfabetizzare, nelle forme più opportune, gli imprenditori circa le potenzialità delle ZES, visto che tali strumenti si rivolgono proprio a loro, con la funzione di agevolare nuovi investimenti e per aiutare la realizzazione di nuovi progetti di sviluppo delle imprese già esistenti.
Sono certo che una base imprenditoriale più consapevole ed informata su tale tema svolgerebbe un’utile attività di stimolo e di impulso per i decisori politici, non solo in Lombardia ma in tutto il Paese.
Invece per quanto riguarda le istituzioni, consiglierei un approccio alle ZES più attento alle best practices internazionali e alle recenti evoluzioni funzionali di tali strumenti, che sono sempre più orientati anche a favorire il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030.
Sul piano concreto due considerazioni.
Primo: l’asfissiante mix di formalismo e di inefficienza della “burocrazia meccanica” italiana, la cui evidente censura è ormai una presenza costante nello stillicidio di rapporti negativi sulle performances in materia di sviluppo (da ultimi quelli della Word Bank e del World Economic Forum), certificano che l’Italia è uno dei peggiori Paesi al mondo in cui fare impresa. Pertanto le aziende ora hanno bisogno di interlocuzioni con le istituzioni improntate esclusivamente alla concretezza, rapidità ed essenzialità operativa. In buona sostanza il “modello Genova”, dovrebbe diventare la regola.
Secondo: bisognerebbe rendere più incisivi i benefici fiscali previsti rispetto all’attuale quadro normativo sulle ZES, perché il semplice impiego del credito d’imposta è assolutamente risibile, se comparato con le effettive defiscalizzazioni presenti in altri Paesi dotati di analoghi strumenti.
In una situazione emergenziale come questa anche le norme europee contenute nei Trattati consentono tale percorso, senza violare la rigida normativa sugli aiuti di Stato. A tale riguardo, merita di essere sottolineato che in tutta la letteratura economica dedicata a tale argomento, emerge che il Paese che ricorre alle ZES non deve successivamente rammaricarsene per il conseguente minor gettito fiscale complessivamente prodotto inizialmente, in quanto, come “contropartita”, il superiore vantaggio reale di cui tale Paese beneficia, scaturisce dalle altre maggiori entrate determinate dai nuovi insediamenti produttivi e dall’aumento complessivo dei consumi generati.
5. Ci parla un po’ della meritoria opera della sua associazione?
La Federazione Mondiale delle Zone Franche e delle Zone Economiche Speciali – FEMOZA è un’organizzazione non governativa avente sede a Ginevra, sotto l’egida di alcune Agenzie dell’ONU. Rappresenta gli interessi di zone franche e di zone economiche speciali, e ne promuove la loro implementazione nel mondo.
E’ stata fondata nel 1999 ed è l’organizzazione più importante in questo settore, con rappresentanti in oltre 225 paesi in tutto il mondo. Dal 2003 FEMOZA ha lo status di Observer presso la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo – UNCTAD e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale – UNIDO.