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    Il coronavirus sta uccidendo la meccanica

    Ogni giorno si perdono 1,7 miliardi di vendite nel settore della meccanica. I clienti esteri cominciano a rivolgersi altrove.

    La meccanica è l’ossatura del nostro paesaggio industriale.

    Prima dell’emergenza il settore era in grado di generare 500 miliardi di euro di fatturato, 100 miliardi di valore aggiunto e 175 miliardi di export, sviluppando oltre l’8% del PIL.

    Oggi quest’area è certamente la più colpita in termini di restrizioni a produrre, largamente assente dall’elenco dei codici Ateco ammessi ad operare. In termini di ricavi persi il bilancio è pesante. Un miliardo e settecento milioni al giorno.

    Tra acciaio e fonderie, dadi e bulloni, valvole e rubinetti, impiantistica e automazione, componentistica, elettronica-elettrotecnica e mezzi di trasporto solo il 9,5% delle aziende può tornare a lavorare, appena il 14,5% dei lavoratori del settore, realtà che comunque riescono ad operare solo a scartamento ridotto.

    Il presidente di Federmeccanica Alberto Dal Poz spiega: “La salute è al primo posto e le nostre aziende, ora come non mai, sono impegnate a tutelarla, adottando tutte le misure di sicurezza previste. Dobbiamo proteggere i nostri collaboratori nel presente e al tempo stesso abbiamo il dovere di dare loro un futuro”.

    Futuro che, nel caso della meccanica, è legato a doppio filo all’export, alle posizioni faticosamente conquistate nei mercati globali, tramortiti ma non annullati dal virus.

    Così, quella che a febbraio, con lo stop cinese, poteva rappresentare un’opportunità per l’Italia, una valida alternativa per i produttori di tutto il mondo impegnati a trovare sostituti alle forniture di Pechino, oggi rischia di trasformarsi in un incubo, con i clienti globali costretti a bypassare il made in Italy. “Molte imprese – aggiunge Dal Poz – una volta fuori dal mercato rischierebbero di non entrarci più».

    Ci sono comunque aziende meccaniche che hanno avuto il permesso di continuare a produrre, ottenendo l’autorizzazione della prefettura.

    Queste dimostrano come sicurezza e produzione siano già in questa Fase 1 conciliabili, anche tra le Pmi.

    Grazie a distanziamenti e protezioni individuali – spiega l’ad della comasca Cresseri (carpenteria) Elena Proserpio – siamo da settimane impegnate con doppi turni. Necessari per fornire a Siare Engineering le parti meccaniche che servono a completare i ventilatori polmonari chiesti da Consip per l’emergenza negli ospedali”.

    Distanze, turni modificati e protezioni sono la regola – aggiunge il presidente e ad della milanese Rold (componentistica) Laura Rocchitelli – e dalla prossima settimana misureremo la temperatura non più con un termometro mobile ma con un visore termico che associa il badge ai valori rilevati”.

    In vista della fine del lockdown, la tesi di fondo è che l’azienda oggi non sia un luogo a rischio. Con le fabbriche a rappresentare un presidio di regole, controlli e procedure in grado di minimizzare i pericoli grazie anche all’adozione di protocolli nazionali e accordi siglati con i sindacati aziendali o territoriali, come accaduto di recente a Bergamo e Brescia.

    Noi – sintetizza Dal Poz – siamo pronti a ripartire in sicurezza. Sperando che non sia troppo tardi”.

    Andrea Curcio

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