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    L’estorsione nel mondo dei rapporti di lavoro

    Il delitto di estorsione è disciplinato dall’art. 629 del codice penale e punisce con la pena da 5 a 10 anni di reclusione (oltre alla multa) chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

    In tema di estorsione gli articoli 392 e 393 del codice penale disciplinano il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose o sulle persone e puniscono con la pena della multa fino a € 516 o della reclusione fino a un anno chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose o usando violenza o minaccia sulle persone.

    Come si può rilevare dalla lettura delle due fattispecie, esse sono differenziate dall’ ”ingiustizia del profitto”, in quanto le modalità di acquisizione dello stesso (violenza o minaccia) sono identiche in entrambi i reati.

    Sul punto, da sempre l’elaborazione della giurisprudenza e della dottrina è stata unanime nell’evidenziare il fatto che, allorquando si verta nell’ambito di una posizione soggettiva tutelata dall’ordinamento e l’azione del soggetto sia finalizzata ad ottenere la soddisfazione di tale diritto “per le vie brevi”, si resta all’interno del delitto di esercizio arbitrario, mentre se la pretesa riguarda un qualcosa di non dovuto (e quindi di non tutelato né tutelabile dall’ordinamento) si concretizza il ben più grave delitto di estorsione.

    Il delitto di esercizio arbitrario è quindi posto a tutela dell’interesse statuale al ricorso obbligatorio alla giurisdizione (il c.d. monopolio giurisdizionale) nella risoluzione delle controversie mentre il delitto di estorsione è un delitto che tutela la libera determinazione dell’agire umano.

    Fino a non molto tempo fa, l’unica linea di discrimine era solo quella legata alla tutelabilità giuridica del preteso diritto, e non veniva in alcun modo valutata l’estrinsecazione della violenza e della minaccia, elementi che, come si è visto, sono presenti in entrambe le fattispecie.

    Ciò significava che il fatto veniva fatto rientrare nel reato meno grave (tra l’altro procedibile a querela della persona offesa) anche quando il livello di coartazione fisica o psicologica risultava, nel fatto concreto, molto incisivo nel determinare la scelta di accondiscendere alle richieste dal soggetto attivo da parte della persona offesa, soggetto, ricordiamo, che comunque é vittima di azione violenta o minacciosa e che quindi è comunque sottoposto ad un sentimento di intimidazione.

    Sul punto, va evidenziato che la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, a fronte di un preteso diritto che sia possibile far valere davanti all’autorità giudiziaria, ai fini della distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, occorre verificare il grado di gravità della condotta violenta o minacciosa, con la conseguenza che si rimarrebbe indubbiamente nell’ambito dell’estorsione, ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata rispetto al fine, ovvero se si eserciti una minaccia che non lasci possibilità di scelta alla vittima, mentre sarebbe configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando un diritto giudizialmente azionabile venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che non abbiano un epilogo costrittivo, ma più blandamente persuasivo.

    Si tenga altresì presente che, sempre nell’ambito della ricordata giurisprudenza, è riscontrabile il delitto di esercizio arbitrario (ricordato quanto detto sopra) solo allorquando l’azione violenta o minacciosa è posta in essere solamente dal titolare del preteso diritto e non allorquando (fatti i salvi eventuali casi particolari) vi sia l’interposizione di terze persone.

    Infatti, alcune sentenza della Suprema Corte hanno ritenuto che il reato di cui all’art. 393 del codice penale è un cosiddetto reato di “mano propria”, in quanto può avere come soggetto agente unicamente “chiunque…si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo”: detta espressa previsione impone di ritenere che il solo esercizio arbitrario delle proprie ragioni (con violenza o minaccia alle persone) rientra, diversamente da quello di estorsione, tra i reati propri esclusivi che si caratterizzano in quanto la loro esecuzione implica l’intervento personale diretto del soggetto designato dalla legge.

    La condotta tipica oggetto di incriminazione soltanto se posta in essere personalmente soltanto da un determinato soggetto attivo.

    Se invece, tale condotta dovesse essere posta in essere da terzi (anche se su mandato del titolare del preteso diritto) la qualificazione giuridica più corretta (fatte salve le particolarità di ogni episodio) dovrebbe essere quella estorsiva.

    Avv. Giorgio Zanelli

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