Durante i governi Andreotti e Berlusconi catturati migliaia di mafiosi. L’esecutivo giallorosso permette scarcerazioni a iosa, altro che indulti e decreti svuota carceri
Accanto all’emergenza economico-sanitaria se ne è creata un’altra: quella delle scarcerazioni dei mafiosi. Un numero così elevato (più di 376) crea allarme anche tra i più garantisti, anche perché nell’elenco figurano nomi di un notevole spessore criminale, come quelli dei boss Zagaria, Bonura, Iannazzo e Sudato, condannati al 41 –bis.
Si tratta di capi, gregari delle cosche, esattori del pizzo e narcotrafficanti. Il monitoraggio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha fatto emergere un numero che non ha precedenti.
Le istanze di scarcerazione continuano ad aumentare di giorno in giorno. Tra chi ha fatto richiesta c’è anche Gaetano Riina, il fratello del capo dei capi di Cosa nostra, che è detenuto a Torino. “Ha 87 anni ed è gravemente ammalato”, dice uno dei suoi legali, l’avvocato Pietro Riggi.
A preoccupare le procure antimafia è soprattutto il ritorno dei mafiosi nei loro territori. “Gli arresti domiciliari sono assolutamente inidonei per soggetti ad alta pericolosità” ribadiscono i pm della Dda di Palermo, ricordando che comunicano spesso anche dal carcere, figurarsi da casa. E per le forze dell’ordine scatta un superlavoro per controllare tutti i mafiosi ai domiciliari, per accertarsi che rispettino l’obbligo di non incontrare o telefonare a nessuno.
La questione è tanto grave da aver provocato le dimissioni del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Francesco Basentini, a cui si imputa il fatto di non aver posto in essere condotte volte ad evitare scarcerazioni in modo così facile e frequente.
Per tutti, hanno comunque pesato le condizioni di salute precarie attestate da certificati e perizie. E il fatto che il Dap non sia riuscito ad attrezzare soluzioni alternative agli arresti domiciliari, per esempio nei centri medici penitenziari, come quelli di Roma, Viterbo, Milano. Così era stato chiesto dal tribunale di sorveglianza di Sassari per Zagaria, ma la risposta del Dap, sollecitata più volte, è arrivata solo il giorno dopo il provvedimento dei giudici che lo avevano già mandato a Brescia dalla moglie.
“Le dimissioni non cancellano la necessità che abbiamo sostenuto in commissione Antimafia più volte: verificare se eventuali scelte sbagliate da parte di chi ha avuto e ha ruoli nella direzione della struttura penitenziaria hanno consentito o favorito la scarcerazione di tanti boss” così parla Franco Mirabelli, capogruppo Pd in commissione Antimafia.
La polemica sulle scarcerazioni sta creando un clima pesante per il Governo. Pare che il ministro Bonafede intenda rimediare:
“Se il rischio contagio è stato, secondo i magistrati, causa delle scarcerazioni, adesso è il momento di riportare per legge i 41 bis e i detenuti dell’alta sicurezza davanti a quei giudici. La situazione sanitaria è cambiata”.
Questo assunto sarebbe alla base della possibilità di un intervento che permetta ai giudici di valutare la persistenza dei motivi sanitari. Il veicolo col quale il suo pensiero dovrebbe diventare azione è in via di definizione, ma gli uffici sono al lavoro a pieno regime.
Ad aggravare ancor di più la situazione, è la pesantissima insinuazione del pm Nino di Matteo. Il giudice integerrimo antimafia, da sempre omaggiato dai grillini, getta un’ombra misteriosa sul ministro della giustizia Alfonso Bonafede: nel 2018 il guardasigilli avrebbe ritirato la sua proposta di assegnare al magistrato il ruolo di capo del DAP, a seguito della divulgazione di alcune intercettazioni ambientali in cui detenuti mafiosi esprimevano forte contrarietà nell’ipotesi in cui la nomina di Di Matteo fosse stata confermata.
Insomma, il giudice antimafia asserisce in modo inequivoco che il ministro della Giustizia è intimidito dalla criminalità organizzata.
Ma allora ci chiediamo, per quale motivo il magistrato più importante per la lotta contro la mafia, avendo tale raccapricciante consapevolezza (al punto da rivelarla in televisione), cioè che il ministro della Giustizia è sotto lo scacco del crimine organizzato, l’abbia taciuta per oltre due anni?
Tra l’altro Di Matteo ha anche indagato sulla trattativa Stato mafia.
Se le parole di Di Matteo fossero state pronunciate da un politico o da chiunque altro, probabilmente non gli avremmo dato molto peso. Il punto è che sono le parole di un magistrato, di un giudice del CSM. Ed è alquanto ambiguo che un magistrato del calibro di Di Matteo, lanci una bomba di questo calibro in un’arena televisiva, basandosi essenzialmente su dei sospetti. Grave che non abbia mai fatto luce sull’episodio, negligente non aver mai avviato un’indagine accertano la verità con gli strumenti previsti dalle leggi e dalla Costituzione, così come fatto per la presunta trattativa Stato Mafia. Anche in quel frangente storico l’oggetto della trattativa verteva su sconti di pena e scarcerazioni.
Il risultato è un terremoto politico ed una confermata sfiducia totale nei confronti della giustizia in Italia.
Una cosa è certa: se al ministero della Giustizia ci fosse stato qualcuno del PD o di altri partiti, sarebbe stato linciato mediaticamente ed il Fatto Quotidiano, che oggi è capace di narrare il retroscena come un mero fraintendimento tra Di Matteo ed il ministro, ne avrebbe chiesto la pena alla ghigliottina.
Andrea Curcio