I centri estivi hanno ruolo sociale importante. Eppure al momento non ci sono chiare indicazioni su come farli funzionare rispettando le norme di sicurezza sanitaria. L’Informatore ha intervistato il sindaco Pietro Zappamiglio, in prima linea per risolvere questo problema.
Con l’avvicinarsi di giugno i cittadini e le amministrazioni comunali vanno incontro ad un grosso dilemma: come fare coi centri estivi? Perché se da una parte l’avvio graduale della fase 2 comporta la ripresa di diverse attività lavorative, dall’altra parte la scuola, nella sua versione smart da qualche mese, si avvia alla fine e con il termine delle lezioni solitamente aprono i cancelli i centri estivi per bambini e ragazzi le cui attività tuttavia quest’anno sono a rischio a causa delle misure per contenere il coronavirus.
L’Informatore ha intervistato Pietro Zappamiglio, sindaco di Gorla Maggiore, nella provincia di Varese, e vicepresidente del dipartimento ANCI Lombardia sull’istruzione, educazione ed edilizia scolastica.
Siamo ormai a metà maggio: riapriranno i centri estivi?
Devono riaprire, è un’esigenza molto sentita da parte delle famiglie. Ma al momento c’è molta incertezza. Noi, come ANCI Lombardia, stiamo lavorando a una proposta che permetta di aprire i centri estivi in sicurezza, purtroppo però al momento da Roma non sono arrivate né linee guida chiare né un testo unico valido per tutto il territorio nazionale.
Perché è importante l’attività dei centri estivi?
Per diverse ragioni. La prima, la più importante, è che i bambini e i ragazzi hanno necessità di relazionarsi con i coetanei. È impensabile tenerli a casa tutta l’estate. La seconda è che i centri estivi incontrano le esigenze lavorative dei genitori. Al momento stiamo assistendo a una grande disponibilità da parte delle realtà educative locali: parrocchie, oratori, associazioni sportive, cooperative.
Tuttavia il problema è a monte: mancano indicazioni precise che individuino anche i soggetti che dovranno farsi carico della responsabilità di gestire le attività in una situazione anormale come quella attuale. Senza delle norme chiare c’è il rischio che prevalga un’impostazione soggettiva.
Il tempo stringe, quali soluzioni si possono adottare?
Ribadisco la necessità di un testo unico che risponda anche al problema della responsabilità. Nel frattempo noi partiamo dall’unica certezza che abbiamo: il desiderio di fare i centri estivi. Mi sto confrontando con diverse realtà locali e si sta generando un patto educativo di territorio in cui ognuno dà il proprio contributo.
Il nuovo decreto prevede un’integrazione del Fondo per le politiche della famiglia per un importo pari a 150 milioni di euro da destinare anche ai centri estivi.
Benissimo, tuttavia rimangono senza risposta una serie di interrogativi fondamentali: quali sono le misure di sicurezza specifiche da adottare? Si parla di un educatore formato ogni 7/10 bambini. Quindi dovremo pagare degli educatori professionisti? Allo stesso tempo i comuni non hanno i fondi per le operazioni di sanificazione. Chi paga? Come vengono distribuiti i fondi? Come si accede a tali risorse? Di solito i centri estivi cominciano la seconda settimana fi giugno. Manca poco.
Quindi ritiene poco soddisfacente il decreto rilancio appena approvato?
Su questo fronte direi di sì. Se non esiste un protocollo condiviso, come fai a quantificare le spese necessarie da sostenere per rispettare tale protocollo?
Che prospettiva avete dunque?
Che alla fine molto probabilmente ce la faremo anche se al momento ci sentiamo lasciati da soli. Abbiamo la fortuna di essere supportati da una forte spinta locale, una grande operosità che viene dal basso e mettendo in comune energie ed esperienza finiremo per scriverceli noi i protocolli.
Simone Fausti