Gioia, gaudio e tripudio. Arriveranno 3500 nuovi monopattini a Milano. La città è salva e la pista ciclabile di Porta Venezia avrà finalmente un senso. Quale è ancora da capire, ma intanto il Comune ci delizia con una leziosa nota stampa:
“Si allarga la flotta dei monopattini in condivisione: nelle prossime settimane a Milano saranno in strada 3.500 nuovi monopattini elettrici. L’Amministrazione ha infatti selezionato e autorizzato cinque nuove società ad operare in città per la condivisione di mezzi di micromobilità elettrica. I veicoli si aggiungono ai 2.250 già presenti come alternativa per gli spostamenti nella fase post lockdown.
Le società che potranno fornire servizio di sharing di monopattini sono EM Transit, Ride Hive Operations, LMTS Italy, Govolt e Bird Rides Italy e si aggiungono alle aziende già presenti sul territorio da alcuni mesi, Wind Mobility, Bit Mobility e Helbiz Italia.”
Auguri a tutte le imprese vincitrici. Il problema qui è sottile e si divide in due parti. Intanto dietro questa ed altre iniziative simili si nasconde il problema (politico) della Giunta di eliminare di nuovo le macchine dalla città, prima che la gente torni ad apprezzare la libertà che ne deriva. E che gli ambientalisti ideologici, i mullah delle ciclabili, perdano il poco di pazienza che gli rimane.
Il secondo è tecnologico: i monopattini, in strada, non ci devono stare. Per il bene di tutti. Sui marciapiedi sarebbe opportuno non ci stessero. E nelle ciclabili non ci vanno di loro. Solo che abbiamo delle norme nazionali… un filo bislacche:
“Seguendo la normativa nazionale in vigore, i monopattini elettrici possono circolare su tutto il territorio comunale nelle strade con limite a 50 km/h, sulle strade extraurbane, sulle piste ciclabili sempre mantenendo una velocità massima di 25 km/h quando circolano sulla carreggiata e di 6 km/h nelle aree pedonali.”
Ricapitolando, i monopattini elettrici possono andare ovunque a velocità controllata… da chi? Come? Chi lo certifica che sul marciapiedi vai a 10 km/h e non 6?
Siamo sicuri che tutti monteranno un tachimetro e rispetteranno i limiti. Ovviamente. Il problema però continua a porsi. E rischia di fare anche dei feriti. In un momento in cui sarebbe auspicabile che negli ospedali ci finisse quanta meno gente possibile.
Come uscirne? Lasciando che sia il mercato a regolare il fenomeno e finendo di uccidere la libertà individuale con provvedimenti dirigistici. Detto in parole povere: libero monopattino in libera viabilità. Aprite i varchi e fate scegliere alle persone. Prendete buona nota delle loro preferenze e costruite attorno ad esse la città del futuro.
Magari così non elimineremo i monopattini dai marciapiedi, ma almeno chi lo comprerà (di tasca propria) farà una scelta premeditata e deliberata. E questo impedirà di avere un esercito di conducenti improvvisati che hanno molta fretta e poca perizia.
Gli strumenti (tecnologici e urbanistici) per farlo ci sono tutti. Quello che manca è la volontà di costruire una città post ideologica, dove le strade non siano costruite e strutturate per dimostrare di aver battuto il nemico, ma per consentire ai cittadini di andare al lavoro in maniera efficiente.
In questo quadro questi investimenti sono sempre, inevitabilmente, suicidi. Perché deformano le preferenze delle persone, creano aspettative nell’utenza (ti pago per avere, oltre al monopattino, un ambiente sicuro in cui usarlo. Togli le macchine dalla strada, per cortesia) e rovinano l’esperienza di vita in città di tutti quelli che non li usano. Quindi, se funzionano, portano a costi occulti. Se non funzionano portato a palesi perdite.
Quindi no, questi 3500 monopattini non sono una soluzione o anche una buona idea. Sono solo l’ultimo capitolo nel libro degli incubi arancione per la viabilità di Milano.