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    Come mai la Grecia ora sta pagando il suo debito pubblico meno dell’Italia?

    Da qualche giorno i rendimenti dei titoli della Grecia sono inferiori ai Btp. Ma ciò non significa che siamo maggiormente a rischio. 

    Nell’ultimo periodo il costo del debito pubblico per la Grecia è risultato inferiore al costo del debito pubblico per l’Italia, nonostante la prima abbia un rating pari a BB, che rende i suoi titoli “spazzatura” come si dice nel gergo economico, mentre il Belpaese sia un gradino sopra, BBB-. Diversi osservatori si sono dunque domandati se, a causa del fatto che l’Italia è uno dei paesi più colpiti dal coronavirus, di fatto ora il paese considerato maggiormente a rischio sia il nostro. 

    La risposta è no, anche se qualcosa è cambiato. Come riportato da Andrea Inannelli, direttore degli investimenti per l’obbligazionario di Fidelity International, in un’intervista al Sole24Ore, è la combinazione di più fattori che motiva “l’inversione dello spread tra i due Paesi”. 

    Anzitutto il fatto che dopo i diversi salvataggi post crisi 2008, buona parte del debito pubblico greco è congelato, con il 16,82% in mano al Mes e il 36,77% in mano all’European financial stability facility. Inoltre il debito pubblico ellenico è nominalmente molto inferiore a quello italiano: 300 miliardi contro 2400 miliardi di euro, circa 1/8. Di questi, la parte acquistabile sui mercati è meno di 65 miliardi. 

    Poi c’è il fattore pandemia. L’Italia è stata colpita maggiormente rispetto alla Grecia dal contagio di coronavirus e questo ha avuto ripercussioni anche sulle restrizioni economiche attuate, anche se il nostro paese dovrebbe essere uno dei maggiori beneficiari delle risorse predisposte dall’Europa. Il piano di acquisti deciso dalla BCE (Pepp) per far fronte alla pandemia ha inoltre incluso i bond di Atene tra i titoli acquistabili. 

    Infine c’è anche un problema di comunicazione. Solamente qualche giorno fa il presidente della Consob, Paolo Savona, parlando della “rilevante discesa dello spread” l’ha motivata con il “venire meno dei timori di un cambiamento di denominazione del debito pubblico per tornare a una moneta nazionale”. Difficile infatti scordare la propaganda che, durante il governo gialloverde, certi esponenti della maggioranza hanno portato avanti auspicando l’uscita dell’euro e il ritorno alla lira. Parole a cui le istituzioni internazionali e i mercati hanno sempre prestato molta attenzione. 

    Sta di fatto che oggi non è possibile affermare che l’Italia corra un rischio maggiore della Grecia, anche se nella sezione dai 5 anni in poi della curva dei rendimenti, i greci mostrano tassi più bassi in maniera crescente rispetto al progredire della linea temporale.

    Simone Fausti

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