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    Istat: 12% delle aziende pensa di ridurre i dipendenti

    Il Rapporto annuale dell’Istat illustra una situazione complicata e fortemente incerta, soprattutto per le prospettive di ripresa.

    La situazione è complessa, ma l’analisi Istat è chiara: uno degli elementi più critici nei prossimi mesi sarà il reperimento della liquidità da parte delle imprese. Da questo dipende buona parte della ripresa del Paese, dal momento che secondo gli ultimi dati Istat, il 12% delle aziende sta concretamente pensando di tagliare il personale quando verrà meno il divieto dei licenziamenti la cui deadline è fissata per il 17 agosto.

    Nella giornata di venerdì 3 luglio il presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica, Giancarlo Blangiardo, ha illustrato alla Camera dei Deputati il “Rapporto annuale 2020” che tira le somme sui mesi scorsi e fornisce prospettive per quelli futuri.

    A metà 2020 il quadro economico e sociale italiano viene definito “eccezionalmente complesso e incerto”. Bisogna infatti ricordare che la narrativa del “torniamo a crescere dopo la quarantena e il lockdown” è una falsa rappresentazione dal momento che prima del coronavirus l’Italia non navigava in buone acque. Nel 2019 il Paese è sprofondato in un “rallentamento congiunturale” aggravato poi dall’insorgere della crisi sanitaria e del lockdown. Nel primo trimestre il Pil è sceso di 5,3 punti percentuali. L’Istat fa sapere che gli elementi peggiori sono “inflazione negativa, calo degli occupati, marcata diminuzione della forza lavoro e caduta del tasso di attività”, nonostante ultimamente si assista ad “una prima risalita dei climi di fiducia”.

    Il 2020 dunque difficilmente vedrà segnali particolarmente positivi dal momento che una vera ripresa economica è stimata per l’anno successivo. Uno dei problemi maggiori è la crisi di liquidità: l’autofinanziamento infatti rimane la principale fonte di reperimento delle risorse per le imprese. Ma con il paese in lockdown l’autofinanziamento nei mesi scorsi ha incontrato molte difficoltà a tal punto che gli ostacoli a reperire liquidità potrebbero impedire un recupero dell’operatività “qualora l’accesso a risorse esterne non fosse agevole”. L’indagine dell’Istat stima che a fine aprile circa due terzi delle 800mila società a capitale italiane avessero liquidità sufficiente per continuare ad operare fino alla fine dell’anno. Una notizia poco rassicurante dal momento che ciò significa che circa un terzo delle imprese sarebbe in condizioni di liquidità precarie. La mancanza di liquidità avrebbe effetti immediati in termini di fallimenti o cadute strutturali ma anche nel lungo periodo, “compromettendo la capacità di recupero delle imprese che avrebbero avuto margini di cassa”.

    Anche il lockdown ha avuto i suoi effetti, tutt’altro che marginali. La chiusura prolungata delle attività economiche avrà forti ricadute sulle tempistiche di ritorno ai livelli pre-crisi. Durante il lockdown infatti abbiamo assistito ad una caduta del valore aggiunto complessivo pari al 10,2%, “determinata per 8,8 punti percentuali dalle dinamiche interne e per 1,4 punti dagli effetti importati”. Tra questi ultimi l’Istat fa sapere che 0,2 punti sono ascrivibili alla riduzione della domanda tedesca, 0,4 alla dinamica dell’area euro e 0,8 punti a quella del resto del mondo.

    Per quanto riguarda l’analisi settoriale, le conseguenze del lockdown hanno coinvolto praticamente tutti. Sono state registrate contrazioni significative del valore aggiunto in tutti i comparti dell’economia italiana in particolar modo le attività del terziario: -19,0% per alloggio e ristorazione, -11,3% per i servizi alla persona, -10,3% per commercio, trasporti e logistica e -11,9% per le costruzioni.

    Simone Fausti

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