Smart Working: le aziende si attrezzano in vista della proroga dello stato d’emergenza
Molte le imprese che pensano di mantenerlo anche a emergenza finita. Prof. Solari: no a nuove norme, basta la contrattazione aziendale.
Con il lockdown circa 8 milioni di lavoratori hanno potuto proseguire la loro attività da remoto – secondo l’indagine condotta da Cgil e Fondazione Di Vittorio – e il trend che ha visto lo smart working imporsi in questi mesi potrebbe consolidarsi anche per il futuro, a maggior ragione ora che lo stato d’emergenza è stato prorogato al prossimo 31 dicembre 2020.
Di fatto già numerose aziende si stanno adoperando per mantenere la possibilità di lavoro agile anche una volta terminata l’emergenza, facendolo rientrare a tutti gli effetti come modalità operativa ordinaria e non quale misura spot dettata dalla contingenza della situazione emergenziale. Certamente le imprese dovranno fare i conti con alcune criticità che necessitano di trovare a breve una soluzione, una fra tutte la definizione di quelli che possono essere i processi lavorativi che possono essere svolti da remoto e quelli invece per cui la presenza è indifferibile e, non da meno, l’aspetto di regolamentazione del rapporto di lavoro, da attualizzare e rivedere rispetto al quadro normativo delineato quando lo smart working era una ancora modalità di nicchia. Lo evidenzia in un’intervista rilasciata a Il Giorno, il prof. Luca Solari, docente di Organizzazione aziendale alla Statale di Milano, secondo il quale un altro nodo da sciogliere, per le imprese, è quello relativo alla misurazione della produttività che, in generale, ha beneficiato dello smart working, con livelli di efficienza superiori alla media.
Sull’aspetto relativo alla regolamentazione, Solari è fermo sostenitore della contrattazione aziendale locale senza necessità di ricorrere a nuove norme, così come sostenuto dalla vicepresidente della Commissione sul Lavoro in Senato, Annamaria Parente, che all’Ansa ha sottolineato l’importanza di ritornare allo spirito della legge 81/2017 che definisce lo smart working, legandolo “alla contrattazione tra le parti e allo svolgimento del lavoro stesso che si basa su obiettivi e fasi come da legge e prevedere un ritorno in modo graduale tra lavoro in presenza e a distanza”. Con il verificarsi dell’emergenza e il massiccio ricorso al lavoro agile, infatti, la normativa è stata sospesa, semplificandone il processo di accesso e slegandolo dall’accordo individuale previsto per legge.
La proroga dello stato d’emergenza e il conseguente ricorso allo smart working non saranno però privi di conseguenze per le città, con particolare riferimento all’impatto sulle attività commerciali dei centri urbani. Un allarme già lanciato dai titolari degli esercizi commerciali del centro di Milano che si sono visti dimezzare la consueta clientela costituita prevalentemente di lavoratori degli uffici della zona e che, tuttora, stentano a vedere la luce fuori dal tunnel. Un suggerimento arriva dalla senatrice Parente, che ipotizza il ricorso a forme di coworking per far fronte alla crisi economica dei negozi e contribuire al rilancio del commercio. Strada che alcuni locali milanesi hanno già intrapreso, riconvertendo i propri spazi per adeguarli ad accogliere gli smart workers che necessitano di un luogo diverso dal domicilio per svolgere l’attività lavorativa.
Micol Mulè