Il sindaco di Milano preoccupato dalle strategie delle aziende per ridurre i costi, dagli spazi il timore è che si arrivi al taglio del personale. Impresa e università le eccellenze su cui basare la ripresa.
Non contrario ma preoccupato. Si può riassumere così il pensiero del primo cittadino milanese Beppe Sala, che torna ad esprimersi sullo smart working in occasione del dibattito sull’argomento promosso dal Pd cittadino. La precisazione, dopo lo scivolone di qualche mese fa, è d’obbligo: “Non sono contrario”, ha puntualizzato, ma a prevalere, nell’analisi del sindaco, sono i timori sul futuro economico di Milano che si preannuncia fortemente incerto qualora lo smart working dovesse perdurare ancora a lungo.
L’immagine emblematica che spinge Sala alla riflessione è quella di “una torre che può ospitare fino a 3mila dipendenti sbarrata”. Un’immagine che desta preoccupazione, perché tristemente rappresentativa della realtà che Milano sta vivendo da alcuni mesi a questa parte e particolarmente evidente in alcuni quartieri della città dove sono collocati i grandi centri direzionali – uno su tutti City Life con colossi del calibro di Generali e Allianz – i cui uffici sono ancora ridotti al minimo di presenze. Le ripercussioni sull’indotto sono sotto gli occhi di tutti. Torri che svettano nel deserto.
Sebbene si stia cominciando ad assistere a qualche graduale rientro, questo settembre delude le aspettative di chi vedeva nel rientro dall’estate la vera svolta in direzione della ripresa. In calo i consumi, idem i fatturati – Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza ha appena pubblicato gli esiti dell’indagine condotta su un campione di imprese da cui risulta che 1 su 3 è a rischio chiusura entro l’anno – e le previsioni a breve termine non lasciano grande spazio all’ottimismo. “Le aziende sono necessariamente ciniche, per così dire, e dovranno trovare formule per ridurre i costi – ha detto preoccupato Sala – stanno cominciando con gli spazi e a Milano questo è evidente, ma alla fine il rischio che seguano con il personale c’è. Bisogna intendersi su qual è il loro progetto”.
Sala torna così a ribadire le perplessità sul tema dello smart working che già aveva esternato poco prima dell’estate – scivoloni a parte – quando senza peli sulla lingua aveva sottolineato che “è evidente che una parte della città è ferma perché qualcun altro non lavora in presenza”, pur comprendendo la necessità dettata dalla situazione, ma guai a che diventi la normalità perché in tal caso “andrebbe ripensata interamente la città – aveva avvertito allora – e ripensare la città richiede tempo”. Tempo che neppure una città come Milano può permettersi di perdere.
Al netto dei timori, Sala ha però chiaro il percorso che deve seguire la città per riprendersi: “Milano tornerà ad essere la città guida perché abbiamo una visone su cosa dev’essere il futuro e ci arriveremo”, ha detto ricordando i fasti di Expo 2015 dove il capoluogo lombardo catalizzava l’interesse internazionale. Il recupero si gioca su impresa e università, le eccellenze del territorio che devono diventare il volano per la ripresa: “Milano deve attingere alle sue qualità”, ha suggerito Sala per guardare con ottimismo al futuro. Ma non basta, e qui la stoccata al mondo politico: “La politica è chiamata alla prova della verità – ha concluso – abbiamo un’opportunità storica di gestire il cambiamento. Non voglio essere pessimista, ma bisogna dimostrare di essere capaci”.
Micol Mulè