Finix Technology Solutions lascia la sede e si trasferisce in un coworking. Cresce il timore per gli spazi lasciati vuoti e per l’indotto delle zone limitrofe.
Unica alternativa percorribile durante l’emergenza sanitaria, lo smart working è passato nel giro di pochi mesi da sperimentazione a modalità lavorativa consolidata per molte aziende, che ora stanno ripensando le proprie strutture organizzative alla luce delle esigenze, più o meno necessarie, di proroga di questo strumento. Una riorganizzazione che passa anche attraverso il cambio di sede delle società che, trovandosi meno personale da gestire in presenza, scelgono spazi e location più ridotte.
L’ennesimo caso che si registra a Milano coinvolge Finix Technology Solutions, che ha scelto di abbandonare quella che era la sede di Fujitsu (società acquisita dal gruppo, ndr) di via Spadolini, per trasferirsi nello spazio di coworking WeWork di via San Marco 21 nella centralissima Brera. Una scelta dettata dalla volontà di rendere stabile la modalità operativa di smart working, a prescindere dalla necessità contingente. Lo spiega bene il Ceo della società, Marco Rivalta: “Come player importante nel settore della trasformazione digitale in Italia, abbiamo scelto di promuovere un nuovo modo di lavorare agile – si legge nella nota – che assicura un’esperienza più dinamica per i dipendenti e un miglior work-life balance”.
Sarà, ma il trasferimento di Finix Technology Solutions rievoca le parole del primo cittadino Beppe Sala, profetiche o piuttosto realistiche, pronunciate giusto pochi giorni fa durante il suo intervento al dibattito sul tema dello smart working: “Le aziende sono necessariamente ciniche, per così dire, e dovranno trovare formule per ridurre i costi – aveva detto preoccupato – stanno cominciando con gli spazi e a Milano questo è evidente, ma alla fine il rischio che seguano con il personale c’è”. Timori fondati che una metropoli come Milano sta sperimentando sulla propria pelle già da qualche mese, con la moria di locali e attività legate a doppio filo con i grandi centri direzionali – un esempio City Life – che stanno alzando bandiera bianca perché impossibilitati a reggere agli urti della crisi dovuta al perdurare dello smart working.
La decisione di spostare la sede in WeWork – prosegue l’azienda – si inserisce nell’alveo di un più ampio progetto di creazione di un ecosistema di innovazione, allineandosi alle iniziative delle principali aziende tech, da Google a Twitter e non da ultimo la stessa Fujitsu, che ha sottolineato l’importanza di sfruttare le potenzialità che il mondo digitale mette a disposizione per ottimizzare l’efficienza. “Spostare la nostra sede operativa – conclude Rivalta – offrirà sicuramente grande valore tanto ai nostri dipendenti quanto ai clienti, che potranno usufruire di spazi nuovi e funzionali nel cuore della città”.
Ma quanto agli spazi lasciati vuoti? Questo è solo l’episodio più recente, ma già un colosso del calibro di Eni ha annunciato di rendere strutturale lo smart working per il 35% dei suoi dipendenti, e come Eni anche Pirelli e diversi gruppi bancari e afferenti al ramo finanziario stanno percorrendo questa strada. Una strada, però, costellata da non poche incognite che impatteranno inevitabilmente sul quadro economico complessivo della città.
Micol Mulè