Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha avviato un’azione legale contro Google, accusato di monopolio e pratiche anti-concorrenziali.
Google è nei guai. La società fondata da Larry Page e Sergey Brin, ora guidata dal Ceo Sundar Pinchai, è oggetto di una azione legale da parte del Dipartimento di Giustizia americano che svolge anche funzioni di antitrust. Non è la prima volta che il governo americano procede per vie legali contro una delle Big Tech: nel 1997 era stata intentata una causa simile contro Microsoft, accusato di avere una posizione monopolistica nel mercato dei computer. Il tutto era finito con una transazione da parte dell’azienda fondata da Bill Gates.
Nel caso di Google, che fa riferimento alla holding Alphabet, l’accusa è quella di essere responsabile di pratiche anti-concorrenziali sia per quanto riguarda le ricerche su internet sia per quanto riguarda la raccolta di pubblicità digitale e dunque di abusare della sua posizione di dominio sul mercato.
Negli anni scorsi anche la Commissione Europea aveva multato la società di Mountain View la cui capitalizzazione supera i mille miliardi di dollari, ma questa volta sembra tornare lo spettro dello smembramento, o perlomeno del riassetto strutturale dal momento che gli accusatori hanno esplicitamente chiesto uno “structural relief” (letteralmente, un “sollievo strutturale”).
Il tema è tutt’altro che recente e trova un consenso politico trasversale negli Stati Uniti: da diversi anni Trump promette di fare qualcosa contro lo strapotere della Silicon Valley ma allo stesso tempo l’ala più radicale del Partito Democratico insiste da sempre perché vengano ridimensionati i giganti tech che sono padroni indiscussi del loro campo.
Nello specifico, Google viene accusata di erigere delle barriere contro qualunque altro potenziale competitor per esempio stringendo accordi con le aziende produttrici di smartphone affinché il proprio browser sia pre-installato nei loro prodotti. Tale tipo di accordo è in vigore anche con Apple a cui Google paga 10 miliardi l’anno per avere la propria app già presente sui cellulari di Cupertino al momento della vendita. Allo stesso modo è emerso che l’80% delle ricerche online realizzate dagli utenti americani avviene sul motore Google.
Il Dipartimento di Giustizia ha motivato tale decisione sottolineando come oggigiorno milioni di americani facciano affidamento alle piattaforme web e per l’industria nel suo complesso la possibilità di competere equamente è di vitale importanza. Il responsabile del Dipartimento, il procuratore generale William P. Barr, è intervenuto sulla questione affermando la sua intenzione di “dare priorità alla revisione delle piattaforme leader di mercato nel mondo online per garantire che i nostri settori tecnologici rimangano competitivi”. Barr ha inoltre affermato che tale azione legale colpisce la posizione di dominio che Google ha su internet, sottolineando che per come opera l’azienda di Montain View, essa ha accumulato potere enorme su milioni di consumatori americani, inserzionisti, piccole imprese e imprenditori che finiscono per essere legati nelle loro scelte a un “monopolista illegale”.
La risposta di Google non si è fatta aspettare ed è arrivata da Kent Walker, responsabile del’ufficio legale, il quale ha evidenziato come “le persone non usano Google perché devono, lo usano perché è utile. Gli utenti hanno infinite opzioni quando si tratta di accedere alle informazioni online e possono cambiare o scaricare motori di ricerca alternativi in pochi secondi”. La causa potrebbe durare anni e passare dunque di mano a un nuovo presidente e a un nuovo procuratore. Nel frattempo il titolo Google non sembra aver accusato il colpo della notizia, chiudendo in territorio positivo la giornata di martedì e aprendo al rialzo mercoledì.
Simone Fausti