Ho notizia che si sta promuovendo una campagna popolare di sottoscrizioni a sostegno della proposta di istituire una imposta “patrimoniale” sui patrimoni che superino i 50 milioni di euro.
Mi sembra si tratti di una proposta demagogica che non prende minimamente atto delle implicazioni socio-economiche e burocratiche che la stessa comporta.
Occorre dire che, se lo stato intende introdurre una simile imposta, che non ha base di natura reddituale e quindi ha carattere espropriativo, non disponendo di un elenco ufficiale di coloro che rientrano nella previsione impositiva, non potrebbe di certo affidarsi alla buona disposizione dei contribuenti stessi.
Immaginiamo le difficoltà di determinare, ai fini della quantificazione complessiva del patrimonio, il valore di beni che non abbiano quotazioni ufficiali: quote e azioni di società di capitali non quotate, valore di opere d’arte, gioielli, oro, lo stesso valore degli immobili che non hanno più mercato, ad onta delle presunzioni catastali.
Va detto dunque che sarà necessario istituire l’obbligatorietà di una denuncia dello stato patrimoniale da parte di tutti i contribuenti (come ha fatto Ezio Vanoni nel 1951 con la denuncia dei redditi), stabilendo poi la soglia di esenzione.
Con il rischio, anche per chi sottoscrive oggi allegramente le petizioni perché è convinto che tocchi ad altri pagare, di venir coinvolto in futuro, con un semplice abbassamento dell’asticella di tale soglia.
La “patrimoniale” non può essere dunque la bandiera sotto la quale portare avanti battaglie politiche. Crea allarme, sfiducia nei risparmiatori e li allontana dall’impegno costruttivo per il Paese.