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    Attenzione agli insulti sui social: diffamazione aggravata

    Attenzione agli insulti sui social: diffamazione aggravata

    L’autore della diffamazione rischia fino a tre anni di reclusione, oltre al risarcimento del danno morale alla persona offesa

    Offendere l’altrui reputazione sui social costituisce reato di diffamazione aggravato dall’uso del mezzo della pubblicità, ai sensi dell’articolo 595, comma 3 del codice penale. Secondo la giurisprudenza maggioritaria anche un messaggio postato in un gruppo, di cui fanno parte un numero esiguo di amici o conoscenti, sarebbe suscettibile di raggiungere una vasta platea di persone.

    Il colpevole rischia la reclusione da sei mesi a tre anni.

    La persona diffamata può chiedere inoltre il risarcimento all’autore del reato, costituendosi parte civile nel processo penale o proponendo domanda autonoma di risarcimento del danno morale in sede civile. A nulla servirà al diffamante rimuovere il proprio post offensivo, essendosi già consumato il reato.

    Per individuare l’autore dei contenuti infamanti sarà sufficiente verificare con gli indirizzi IP il numero del datagramma che identifica univocamente il dispositivo (host) da cui è stata posta l’attività illecità . Se si utilizza un profilo falso, al diffamante sarà imputabile un ulteriore reato, quello di “sostituzione di persona”, ai sensi dell’articolo 494 del codice penale.

    È dunque consigliabile non lasciarsi coinvolgere in battibecchi sui social network. In particolare, uno sfogo rischia di sfociare in una fattispecie di reato se idoneo a ledere la reputazione della persona alla quale è rivolto. Vediamo di seguito alcuni casi esaminati dai giudici.

    Ad esempio, chi con un post visibile a tutti i suoi contatti offenda l’ex accusandolo di non contribuire al mantenimento dei figli dovrà rispondere del reato di diffamazione.

    Lo stesso destino toccherà anche alla moglie che offenda l’ex marito in un post visibile da tutti, qualificandolo come un “miserabile bisognoso di cure psichiatriche”.

    È stato condannato anche chi abbia insultato un proprio docente o chi abbia offeso la professionalità di una persona con espressioni del tipo “pagato per blaterare, pseudo giornalaio”.

    Andrea Curcio

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