Prefettura, Valassina e Regione, la protesta si snoda in più punti per amplificare il messaggio. 400 i locali già chiusi, molti altri avviati alla chiusura, a pesare sono costi fissi, burocrazia e politiche ristori.
Non c’è maltempo che tenga, ristoratori e titolari di pubblici esercizi tornano di nuovo in piazza al grido di “Basta, siamo stremati”, slogan scelto per fotografare la situazione attuale dopo mesi di chiusure che per molti di loro sono diventate definitive.
La prima tappa della protesta alla Prefettura di Milano, dove i ristoratori hanno consegnato alcuni dei prodotti deteriorati e non più utilizzabili nei propri ristoranti e bar a causa delle nuove restrizioni, stimando ciascuno una perdita di circa 6mila euro. Una rappresentanza della categoria ha consegnato al Prefetto, Renato Saccone, anche un barattolo contenete 400 chiavi, simbolo del numero di locali che hanno già chiuso definitivamente la serranda a Milano: “Abbiamo consegnato le stesse chiavi al sindaco Sala qualche mese fa come stima dei locali che avrebbero chiuso – spiega ai microfoni del Messaggero un ristoratore – oggi non è più una stima ma è una realtà. Inoltre la chiusura di questi locali significa anche la futura morte della filiera che sta dietro di noi, ossia tutti quelli che producono le materie prime che servono a ristoranti, pub e locali”. Su questo punto era intervenuta nei giorni scorsi anche Coldiretti Lombardia, stimando in circa 250 milioni di euro la perdita dovuta ai mancati acquisti di cibo e bevande lungo la filiera agroalimentare durante quest’ultimo mese di chiusura forzata per le attività di ristorazione.
La protesta si è poi spostata sotto il palazzo di Regione Lombardia, organizzata dal Comitato Territoriale Esercenti, che ha coinvolto una più ampia platea di categorie, non solo ristoratori ma anche gestori di discoteche, location per eventi, bowling, palestre e centri sportivi. “Siamo attrezzati per aprire in sicurezza – dichiarano gli organizzatori – le nostre attività non sono luoghi di contagio, siamo vittime di una più che provata ingiustizia. Vogliamo lavorare!”. È questo il pensiero che accomuna i lavoratori che ieri hanno scelto la piazza per dar voce ad una situazione ormai diventata insostenibile.
Nel frattempo oltre un centinaio di ristoratori e gestori di locali, provenienti dalla Brianza e diretti a Milano per partecipare al presidio organizzato sotto il palazzo di Regione Lombardia, hanno bloccato la Valassina rallentando la marcia a passo d’uomo. Traffico in tilt a parte, la protesta è stata pacifica, accompagnata dal suono continuo di clacson e fischietti: “Abbiamo lasciato libera la corsia d’emergenza e quella di sorpasso in modo che potessero passare i mezzi di soccorso e siamo andati a circa 40 km/h – spiega all’ANSA Mauro Meda, imprenditore di Seregno – Volevamo dare un segnale, far capire che non siamo qua per capricci ma perché non possiamo lavorare, perché da ottobre i nostri dipendenti non hanno ricevuto la cassa integrazione”. La polizia li ha poi scortati fino a viale Zara dove hanno dovuto parcheggiare le auto e proseguire a piedi alla volta del palazzo dove ha sede la Regione.
Alfredo Zini, titolare del locale in zona Isola “Al Tronco” nonché presidente dell’associazione “Imprese storiche” di Confcommercio Milano, torna a fare il punto della situazione alla luce delle nuove aperture a singhiozzo che ben poco fanno sperare per il futuro: “Non c’è nessuna possibilità per gli imprenditori dei pubblici esercizi di programmare e pianificare il lavoro – scrive in una lettera per una rivista del settore – e anche per il 2021 la prospettiva non è rassicurante”. Archiviato il 2020, il settore della ristorazione fa i conti con un significativo calo del fatturato, chiusure di numerose imprese e un cambiamento dei consumi e delle abitudini dei clienti.
Mancanza di liquidità, politiche dei ristori e burocrazia sono i principali responsabili della brusca frenata di un settore trainante per l’economia lombarda, oggi più che mai bisognoso di riforme strutturali: “La già difficile situazione economica non migliorerà – prosegue Zini nella sua analisi – fino a quando non verranno abbassati i costi di gestione, non vi sarà una riduzione significativa di imposte e tasse, dei tributi locali e dei costi dell’energia”. In mancanza di questo il destino è già segnato per molti, considerando oltretutto che alcuni pagamenti sono stati soltanto posticipati ma non annullati, pertanto alla scadenza delle proroghe concesse, saranno dovuti nonostante il fermo dell’attività lavorativa e i conseguenti mancati incassi.
Micol Mulè