Gli ultimi dati Istat sul mondo del lavoro delineano una situazione drammatica soprattutto per l’occupazione femminile.
Un brutto colpo quello arrivato a inizio settimana dall’Istat. Il problema non è solo il dato aggregato che ha visto la disoccupazione salire al 9% nel mese di dicembre, ma la situazione delle singole categorie. I numeri sono impietosi: in un anno -444mila occupati, +482mila inattivi con il tasso di occupazione della fascia 25-34 anni sceso dell’1,8%.
Nel mese di dicembre si sono persi 101mila posti e tra questi 99mila riguardavano donne, mentre a livello annuale le femmine hanno sofferto un calo di 312mila occupati contro i 132mila occupati dei maschi. Tra i motivi di questa carneficina rosa vi sono le caratteristiche strutturali di alcune occupazioni che sono maggiormente declinate al femminile in Italia e che sono state duramente colpite dalla pandemia: commesse nei punti vendita e nei centri commerciali, magari con contratto a scadenza, hostess presso le fiere, bariste, cameriere, addette alle mense, colf, badanti, addette alle pulizie. Stessa situazione desolante sul fronte giovani con il tasso di disoccupazione giovanile che ha quasi raggiunto il 30%.
Sul fronte dei precari e delle partite Iva, in un anno sono andati perduti 393mila occupati a tempo e 209mila indipendenti. Sembra un bollettino di guerra e la sentenza è abbastanza unanime con il quotidiano di Confindustria che ha affermato senza mezzi termini che le misure come il decreto Dignità “vanno profondamente ripensate perché hanno fallito di fronte alla prova dell’emergenza”.
Il Segretario Generale di Federterziario, Alessandro Franco, ha lanciato un allarme sottolineando la necessità di mettere in atto le misure opportune: “I fondi del Recovery Fund, possono rendere efficaci le politiche attive del lavoro, rafforzando il ruolo e gli strumenti a disposizione del Ministero del Lavoro (di Anpal) e dei Centri per l’impiego, affinché siano pronti ad affrontare questa grave emergenza che, se non contrastata adeguatamente e tempestivamente, potrebbe determinare anche dei pesanti conflitti sociali. Altrettanto necessario è investire in infrastrutture sociali che eliminino, o quantomeno riducano, il gap di genere che nel nostro Paese ancora impedisce un adeguato accesso delle donne al mondo del lavoro valorizzando le loro capacità anche dal punto di vista retributivo”.
Simone Fausti