Cartelle, avvisi fiscali, proroghe e rate. Il governo Draghi all’opera sulle scadenze fiscali imminenti. L’Italia aspetta una radicale riforma fiscale. Nel frattempo prosegue il processo di desertificazione commerciale.
Tra la moltitudine di priorità dell’agenda del governo Draghi, ci sono particolari aspettative sulla riforma del fisco. Lo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini si auspica “un riordino del sistema fiscale e delle norme che stanno alla base di esso”. Intervenuto all’evento online “Per le Persone, per le Comunità”, Ruffini ha ribadito come uno dei punti cruciali riguardi la modifica dell’Irpef dal momento che “interessa 41 milioni di possibili destinatari”.
La parola d’ordine è chiarezza, un termine che da tempo è andato perso nei cassetti dell’apparato burocratico nostrano. Per il direttore delle Entrate infatti, è di assoluta importanza che “il quadro normativo sia chiaro ed accessibile a tutti, che vi sia finalmente trasparenza nel calcolo dell’aliquota” e che tale riforma sia “pragmatica e che possa trovare nei Caf e negli intermediari degli alleati che sappiano effettivamente farla propria e realizzarla nei fatti”.
Ma un passo alla volta. Prima bisogna risolvere il nodo dei 50 milioni tra avvisi fiscali e cartelle che al momento rimangono congelati fino a fine febbraio. Che fare? Sembra inevitabile una proroga della sospensione. Al Mef si pensava di prolungare tale sospensione per altri due mesi così che coincida con la scadenza dello stato di emergenza prevista per fine aprile. Al rinvio sembrano destinate anche le cinque rate delle rottamazioni così come quelle del saldo stralcio al momento in scadenza al primo di marzo. Un’incognita che pesa sui contribuenti dal momento che oramai la pandemia ha innescato un meccanismo di proroghe che rende ignota la ripresa dell’attività di riscossione.
Nel frattempo l’ennesima indagine certifica il disastro provocato dal covid e dai conseguenti lockdown sul tessuto economico italiano. Una dinamica che si è innestata su una situazione già complicata. Uno studio di Confcommercio intitolato “Demografia d’impresa nelle città italiane” ha rilevato come tra il 2012 e il 2020 siano spariti oltre 77mila negozi nelle città italiane. Un processo di desertificazione commerciale che ha coinvolto principalmente le attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese di commercio ambulante (-14,8%).
Il cambiamento è stato particolarmente acuto nei centri storici e la pandemia ha enfatizzato tale spirale dal momento che i settori che hanno resistito o erano in crescita cresceranno ancora mentre quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici. L’Italia dunque è inerme di fronte a questo processo? Secondo il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, per fermare la desertificazione commerciale delle città bisogna agire su due fronti: “Da un lato, bisogna sostenere le imprese più colpite dai lockdown e introdurre finalmente una giusta web tax che risponda al principio <stesso mercato, stesse regole>. Dall’altro bisogna mettere in campo un urgente piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese e rilanciare i valori identitari delle nostre città”.
Simone Fausti