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    Antonio Losito: l’“insicuro ed egocentrico pastry chef” che disegna le torte col pennino

    Antonio Losito: l’“insicuro ed egocentrico pastry chef” che disegna le torte col pennino

    Antonio Losito, 40 anni, e una già lunga carriera costellata di successi. Ha appena messo in tasca il biglietto per la finalissima della Coppa Mondiale del Panettone in programma il prossimo autunno a Lugano, rientrando così tra i 30 migliori pasticceri a livello mondiale. Eppure si definisce un “insicuro ed egocentrico pastry chef”, oggi più “pinguino infreddolito”, ma questa è la sua forza e ci spiega perché.

    Antonio, partiamo con la notizia più recente, è approdato alla finale della Coppa Mondiale del Panettone, aggiudicandosi per la giuria Stampa il premio Pasticceria Internazionale, un traguardo che la fa entrare tra i 30 migliori pasticceri a livello mondiale. Facciamo un passo indietro, come è iniziata la sua carriera?

    In 40 anni di vita la mia passione è sempre stata la pasticceria, che è poi diventata il mio mestiere. Ho cominciato nei villaggi turistici e negli hotel di Sirmione, sul lago di Garda, poi, dopo un’esperienza di un paio d’anni in Sardegna, sono ritornato a Brescia che è la mia città d’origine. Qui ho cominciato a lavorare nelle più note pasticcerie, iniziando dalla San Carlo per poi approdare alla Pasticceria Veneto sotto la guida del noto maestro Iginio Massari, dove sono rimasto per qualche anno. Ma la mia curiosità e le mie ambizioni mi hanno spinto a voler fare nuove esperienze in giro per il mondo e così ho iniziato a lavorare all’estero inizialmente come consulente di decorazione, poi di pasticceria, gelateria e cioccolato. Al rientro in Italia mi sono stabilito in Brianza e ho avuto l’opportunità di partecipare a trasmissioni televisive del settore, come ad esempio “Gambero Rosso” su Sky con Simone Rugiati. Nel frattempo sono arrivati i primi riconoscimenti internazionali, come il premio “Miglior gelatiere” nel Regno Unito e “Miglior pasticcere” in Marocco. Attualmente sono un Ambassador, della multinazionale Irca, un’eccellenza italiana con sede a Gallarate, che si occupa della produzione di prodotti per pasticceria, gelateria e cioccolato.

    In che cosa consiste questo lavoro?

    Il mio ruolo è quello di pastry chef e mi occupo di consulenza di pasticceria prevalentemente all’estero. I miei mercati più battuti sono in Medio Oriente, quindi Dubai, Emirati Arabi ed Arabia Saudita, ma frequento molto anche la Russia e i Paesi dell’ex Unione Sovietica dove vado a portare l’italianità del mio sapere. In quei luoghi non c’è una tradizione o una particolare cultura del dolce, a differenza di Italia e Francia che possono vantare una tradizione storica e portare il meglio nel mondo. Quindi ormai da diversi anni giro per il mondo insegnando questo mestiere.

    Come mai questa scelta di passare all’insegnamento?

    Nonostante la giovane età ho un’esperienza molto ampia, considerando che quest’anno sono 29 anni di carriera. Da che ero ragazzino ho messo da parte la mia gioventù, tralasciando giri in bici e partite di pallone per trascorrere il mio tempo ad imparare i segreti del mestiere nei laboratori e nelle cucine. Avendo visto non il “local think” ma il “global think” del mio lavoro, posso vantare un’esperienza con un bouquet di informazioni piuttosto vasto che desidero mettere a disposizione facendone una professione interessante.

    Lei si è definito un “insicuro ed egocentrico pastry chef”, che è poi il titolo della sua biografia di recente pubblicazione. Come mai questa definizione che apparentemente sembrerebbe in contraddizione?

    Lo è, ma questo sono io. Anche se il mood di quest’ultimo periodo è “pinguino infreddolito”, in omaggio ai Pinguini Tattici Nucleari della nostra vicina Bergamo di cui sono un fan della prima ora. Questo perché nonostante all’apparenza io possa sembrare un uomo imponente – 90 kg per 1 metro e 80 – in realtà sono sempre titubante, temo di non essere all’altezza e sto sempre, come si dice in gergo dialettale, molto “schiscio”. Non mi piace eccedere, preferisco testimoniare con i fatti piuttosto che con un curriculum che viene anteposto al saper fare, preferisco mettere in campo le mie conoscenze. Un mio amico giornalista mi definisce un “gigante di conoscenza” nel mio mestiere, io invece mi reputo una persona che ha ancora tanto da apprendere e da dimostrare, che sposta giorno dopo giorno il suo traguardo. La mia biografia nasce con l’obiettivo di smentire il personaggio che la gente si era creata di me, e far venir fuori la persona. Quando sabato scorso sono stato selezionato nella tappa italiana per la finale della Coppa del Mondo del Panettone sono scoppiato a piangere, come un “pinguino infreddolito” che non si sente a suo agio nel suo habitat naturale, perché non mi sentivo all’altezza, e invece eccomi qua tra i 7 migliori pasticceri d’Italia e tra i 30 a livello mondiale.

    Su cosa si fonda la sua visione di pasticceria?

    Il mio credo è la tradizione. Magari con qualche aspetto modificato e cercando sempre di non avere preconcetti e stereotipi. Questo per me è fondamentale. Io sono un decoratore essenziale, mi definisco zen: poco ma molto elegante, linee pulite. Io adoro la lucentezza sui miei dolci, mi piace molto l’utilizzo delle foglie d’oro e delle glasse lucide.

    È vero che disegna le sue torte con il pennino da geometra?

    Le mie torte prendono forma anzitutto nella mia mente, letteralmente chiudo gli occhi e immagino come verrà il dolce. Dopodiché passo alla fase del disegno sul mio quaderno con il pennino e i pastelli colorati per definire ogni dettaglio. Sono pignolo, perfezionista e molto severo, scherzosamente alcuni miei colleghi mi definiscono “lo sceriffo”. Sono pignolo e lineare nella decorazione ma anche nel carattere.

    Come Export Ambassador gira molto per il mondo, con l’avvento della pandemia immagino che la sua attività sia stata un po’ ridotta. Cos’è successo?

    Esattamente un anno facevo il mio ultimo viaggio a Novosibirsk, in Siberia. Al mio ritorno c’è stato un disastro. Salvo due viaggi all’estero in Olanda e in Francia, mi sono ridimensionato per il tempo necessario reinventandomi qui in Italia dove Irca ha il suo zoccolo duro. Certo mi mancano tantissimo i miei mercati, il caldo di Dubai, il freddo e nello stesso tempo il calore delle persone in Russia, ma ho capito che mi era mancato il “colorito” degli italiani. Quindi questa è stata un’occasione per recuperare questo aspetto e tornare all’origine della nostra magnifica tradizione.

    Sono cambiate le esigenze in tempo di pandemia?

    L’industria ha ceduto il passo all’artigianalità che è stata riscoperta da molti professionisti. Lavorando di meno hanno dedicato il tempo alla formazione, attraverso l’apprendimento di tecniche e modalità nuove, approfondendo la propria cultura professionale. I professionisti non sono mai stati fermi, hanno svolto corsi e richiesto consulenze affinché il lavoro non venisse meno, trasformandolo in cultura. Il tempo a disposizione è stato messo a frutto.

    Quali saranno le tendenze per il futuro?

    Ho fatto due concept cercando di prevedere quali saranno le tendenze, sono torte essenziali con tre consistenze diverse, decorate pochissimo, che ho definito “zen tarte”. Data la mia ultima esperienza sul suolo nazionale, ho pensato di rivisitare alcuni grandi classici della tradizione italiana dando un tocco di freschezza nelle consistenze e negli ingredienti. Ho creato delle “chicche”, ad esempio inserendo nel tiramisù del caramello salato croccante.

    Ce lo svela il segreto del panettone perfetto?

    Avere a fianco persone che credono che tu realizzerai il panettone perfetto, questo è l’ingrediente segreto. Mi viene facile essere un bravo pasticcere, meno essere sicuro di me. Se non fossi circondato da persone che mi ricordano questo, sarei quel “pinguino infreddolito” che sostengo di essere.

    Per i giovani che si approcciano a questo mestiere che consiglio si sente di dare?

    L’incipit della mia biografia è una frase che mi disse mio padre, detta a sua volta a lui da mio nonno: “Non devi essere il più bravo a fare una torta, ma devi essere il più bravo a farti voler bene”. Perché la torta può anche essere meno bella o buona rispetto a quella di un altro pasticcere, però se ti farai voler bene avrai sicuramente successo, e questo vale nella vita in generale. È importante poi anche saper ascoltare e non voler parlare a tutti i costi, come ha sempre sostenuto un mio vecchio maestro.

    Il suo motto?

    Spero di continuare ad essere un “pinguino infreddolito”, per non perdere quell’umiltà nell’affrontare le cose e non smettere di sognare.

    Micol Mulè

     

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