Addio smartworking dopo l’estate?
Torna in auge il dibattito sul futuro del lavoro agile dopo che l’Ad di Morgan Stanley ha affermato: “Se potete andare al ristorante, potete anche venire in ufficio”
Per molti mesi, durante le fasi più acute della pandemia, diverse aziende hanno deciso che forse lo smartworking a cui erano stati costretti i dipendenti dal coronavirus poteva essere una formula vincente anche per il mondo post covid. Ora, tuttavia, molte realtà ci stanno ripensando e diversi settori puntano a riportare l’intero organico in ufficio dopo l’estate.
La fiducia acquisita con il progredire delle vaccinazioni permette ai capi azienda di tornare a programmare il funzionamento della propria società e, nonostante “l’insegnamento” del 2020, c’è chi proprio non vuole più sentir parlare di smartworking. Il tema è dibattuto da molti mesi ma recentemente è tornato in auge a seguito delle dichiarazioni del Ceo di Morgan Stanley, James Gorman, il quale alla Cnn ha affermato: “Se potete andare al ristorante, potete anche venire in ufficio e noi vi vogliamo in ufficio”.
Quella di Gorman sembra un’affermazione tutt’altro che generica dal momento che il numero uno della banca americana ha affermato che si aspetta di vedere l’intero organico in ufficio a settembre, altrimenti bisognerà fare un profondo ripensamento, anche perché “se si vuole essere pagati a New York, si lavora a New York”. Ma l’amministratore delegato di Morgan Stanley non è il solo a pensarla così, anzi, l’intero mondo finanziario è abbastanza allineato sulla questione.
Il capo di Goldman Sachs, David Solomon, considera il lavoro da remoto “un’aberrazione” che necessita una correzione, dal momento che nel 2020 meno del 10% del personale ha lavorato in sede. Come mai questa avversione al lavoro agile? Per Solomon, questa modalità non si adatta alla cultura della sua banca che si fonda sull’apprendistato innovativo e collaborativo. Insomma, non si diventa banchieri senza un “tutoraggio” ravvicinato e questo significa spendere giorno e notte in ufficio. Letteralmente giorno e notte. Negli scorsi mesi, infatti, era circolata un’indagine informale interna che prendeva in esame il giudizio di tredici giovani banchieri al loro primo anno di esperienza a Goldman Sachs. A fronte di un salario medio che si aggira attorno ai 120.000 dollari, sono emerse condizioni di lavoro “inumane”, frequenti “burnout” e settimane lavorative che arrivavano a 100 ore con conseguenze evidenti in termini di riposo e salute mentale.