lunedì, Novembre 25, 2024
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    I fondi di private equity nel passaggio generazionale

    I fondi di private equity nel passaggio generazionale

    Ad aprile scorso si è tenuto un interessante incontro a tema “I fondi di Private Equity nel passaggio generazionale” che ha ospitato relatori provenienti dal mondo dell’impresa e dell’industria finanziaria coordinati, nell’occasione, da Alberto Salsi, esperto aziendalista.

    Troppo spesso il tema del passaggio generazionale è trattato con superficialità e non come un momento, prima di tutto umano, in cui non solo si verifica un passaggio di proprietà, ma anche e soprattutto un avvicendamento di visioni, di strategie e filosofia di fare impresa.
    Il presente articolo nasce pertanto con l’intenzione di approfondire i temi trattati nell’incontro per fornire qualche spunto di riflessione ad utilizzo degli imprenditori che si accingono a valutare l’intervento di un fondo di private equity in un momento, qual è il passaggio generazionale, fondamentale per la vita dell’impresa.
    Com’è noto il tessuto imprenditoriale italiano è formato in larga parte da piccole e medie imprese familiari tanto che queste rappresentano, secondo l’Osservatorio di Aidaf, circa l’80% della popolazione delle aziende italiane, ed il 65% delle imprese con fatturato maggiore di €20mln.
    È naturale ritenere che in tale contesto la sfida del passaggio generazionale, che si stima interesserà il 20% delle imprese familiari nei prossimi 5 anni, sia un vero e proprio banco di prova per l’economia del nostro Paese il cui successo sarà preservare e trasmettere quel capitale umano, di know-how ed economico, che rende unica ciascuna impresa.
    In un contesto di forti cambiamenti dove il Covid si è inserito come un terzo, molto ingombrante, incomodo tra le sfide della globalizzazione e della digitalizzazione, gli imprenditori prossimi al passaggio generazionale avvertono sempre più forte l’incognita della scelta tra mantenere il controllo in famiglia o farsi affiancare da un partner, sia questi industriale o finanziario. In tal senso, anche se in presenza di una giovane generazione che possa prendere le redini della propria impresa, molti imprenditori stanno guardando alla ricerca di un possibile partner finanziario per assicurare la piena continuità aziendale, e orizzonti di sviluppo futuro.

     

    Di tali sfide e scelte, ci parla Paolo Garbagna, seconda generazione di imprenditori alla guida dell’azienda di famiglia ICSS Group, operante nel packaging.

    Lei ha già affrontato il passaggio generazione essendo la seconda generazione di imprenditori, ci racconta come è avvenuto?
    Ho affrontato il passaggio generazionale quando mio papà mi avviò, non senza difficoltà, verso la guida dell’impresa di famiglia ancora abbastanza giovane, giusto a  30 anni.
    Era già coinvolto negli “affari di famiglia”?
    Io a quell’epoca svolgevo l’attività di giornalista e non ero per nulla interessato a prendere il posto di mio padre in un’attività che avevo sempre visto da lontano e che mio papà condivideva poco in famiglia.
    Fu proprio l’attitudine a non trasmettermi la passione per il proprio lavoro a spingermi ad allontanarmi dall’impresa e dall’idea di prenderne le redini un giorno.
    Come avvenne il suo riavvicinamento all’azienda?
    Compiuti 30 anni, ebbero luogo alcuni eventi legati anche alla salute di mio padre che mi spinsero ad entrare nell’attività di famiglia. Fu così che lasciai le mie collaborazioni giornalistiche e iniziai il mio ingresso in azienda. Fin da subito cercai di negoziare le condizioni, ovvero pianificare la transizione per gli aspetti di governance e di assetto azionario. Dopo qualche tempochiesi a mio papà di essere messo nelle condizioni di agire liberamente nelle scelte inerenti l’azienda. Ovviamente incontrai molte difficoltà date dal rapporto con mio papà e dalla sua attitudine di uomo della sua “epoca” che aveva fondato e cresciuto la propria impresa come un figlio.
    Un esempio del rapporto tra lei e suo papà?
    Un giorno dovevamo comprare dei macchinari per produrre il polistirolo ed avevamo fissato l’appuntamento alle 15 del pomeriggio. Io arrivo puntuale alle 15 e trovo mio papà che stava già trattando con il fornitore stringendosi la mano per l’acquisto. Alla mia domanda del perché fosse lì mi rispose che era arrivato prima ed aveva già concluso l’affare, senza aspettarmi.
    Non fu una transizione facile ed anche se mio padre capiva che il mercato ed i clienti stava andando avanti ed evolvendosi, e che lui non era più in grado di gestire il cambiamento, non è riuscito ad allentare la presa con un taglio netto in tempi medio brevi, ma al contrario servirono moltissimi anni.
    Oggi il mercato, inteso come operatori industriali, finanziari e advisors, offre moltissime soluzioni per assicurare il passaggio generazionale, come vede la possibilità per un partner finanziario di affiancarla in questo processo?
    Negli anni abbiamo avuto la fortuna di costruire una realtà solida e ad alta redditività con una base cliente che ci dà fiducia ed i nostri collaboratori credono nel progetto e nei valori che rappresentiamo.
    Tuttavia, è scontato pensare a quanto accadrà tra 5/10 anni e pertanto emerge la necessità di interrogarsi su metodi per salvaguardare il patrimonio economico, ma soprattutto umano, che ICSS ha costruito nel tempo.
    Penso che per affrontare le sfide del futuro ed accompagnare il passaggio generazionale in modo più professionale sia importante coinvolgere un partnerfinanziario che svolga il ruolo di catalizzatore di opportunità e che creda nei valori di ICSS riassunti nel motto: <<prometti solo quello che puoi mantenere e mantieni tutto ciò che hai promesso>>.
    Quale ruolo vede per i suoi figli?
    Contrariamente a quanto fece mio papà, che si giustifica anche per la generazione e per i tempi che erano, io ho lasciato molta libertà nelle scelte di studio e di carriera ai miei figli e non mai fatto mancare una tutorship che li conducesse verso i valori aziendali della famiglia.
    Non senza sorpresa, si sono mostrati molto interessati al mio lavoro e all’attività di imprenditore. Un esempio? Con mia figlia Giulia abbiamo fondato una piccola azienda che commercializza articoli sportivi in particolare mirati al Cross Training.
    Il passaggio generazionale è un processo a fasi progressive in cui è fondamentale una corretta pianificazione. Spesso chi vorrebbe iniziare tale iter viene frenato dalla paura di dover affrontare un percorso ritenuto, a torto o a ragione, lungo, fortemente burocratico ed in alcuni casi estenuante.
    Pertanto, in tale sfida è fondamentale essere accompagnati da un advisor finanziario affidabile e professionale che rappresenti un “occhio” esterno, senza influenzare le scelte della famiglia.
    Ne parliamo con Ludovico Mantovani, partner di Pirola Corporate Finance, società di advisory finanziaria milanese, al cui attivo può vantare una lunga esperienza di operazioni di M&A nel contesto del passaggio generazionale:
    Qual è, e come si dettaglia il ruolo dell’advisor nel passaggio generazionale?
    Il financial advisor è colui che è maggiormente vicino alla famiglia e che l’accompagna, passa dopo passo, e sempre con un approccio terzo e trasparente, a compiere la scelta migliore che assicuri continuità all’azienda e che compia la visione dell’imprenditore.
    Perché un imprenditore dovrebbe identificare un financialadvisor?
    Il financial advisor ha la funzione di mettere a disposizione tutta la propria esperienza e network a servizio dell’impresa aiutandola a sviluppare soluzioni e strategie innovative ed uniche. La diversità di un’impresa dall’altra e la complessità del tema del passaggio generazionale, non lasciano spazio ad un approccio standardizzato o a soluzioni “facili” prospettate magari da sedicenti advisors “affaristi”. Servono professionalità esperte e che sono “allenate” a muoversi in modo dinamico in situazioni straordinarie per offrire soluzioni uniche adatte alla specifica situazione e necessità dell’imprenditore.
    Qual è il motivo alla base di alcuni pregiudizi o diffidenze da parte di alcuni imprenditori italiani verso la figura dell’advisor?
    Spesso il ruolo dell’advisor viene comunicato male anche da alcuni appartenenti al nostro settore che si presentano o come coloro che sono depositari della soluzione facile o che promuovono operazioni che portano acqua maggiormente al proprio mulino che a quello dell’imprenditore. Occorre essere chiari, non vi sono soluzioni “passpartout” per tutti i casi e, soprattutto, è fondamentale che l’interesse dell’advisor coincida con gli obiettivi dell’imprenditore e non che uno prevalga sull’altro.
    Inoltre, l’advisor, proprio perché indipendente, offre un “occhio terzo” e professionale al caso, agendo spesso da mediatore tra più parti e aiutando l’imprenditore a trovare una sintesi.
    In ultimo, il mercato negli ultimi anni si è affollato di un numero sempre maggiore di operatori finanziari e la guida di un esperto che si muove agilmente sul mercato può essere determinante per ottenere il risultato voluto dall’imprenditore.
    Ecco questi elementi, che stanno alla base della professionalità del nostro intervento, devono essere comunicati correttamente anche dalla nostra industry per battere pregiudizi o diffidenze.
    La fase del passaggio generazione impone agli imprenditori che pensano alla continuità d’impresa la necessità di trovare una risposta alla domanda: cosa dobbiamo fare per affrontare in modo efficace le sfide, interne ed esterne, del ciclo di vita e assicurare la sopravvivenza della nostra impresa sul lungo periodo?
    Oggi una possibile risposta è rappresentata dall’intervento di un fondo di private equity. Ne parliamo con Giorgio Moise, advisor di Auctus Capital Partners AG, fondo d’investimento tedesco che ha al suo attivo più di 300 operazioni nel settore mid-market.
    Quali sono i vantaggi e i benefici per la famiglia nell’aprire ad un investitore istituzionale in un momento delicato come il passaggio generazionale?
    Spesso l’obiettivo dell’imprenditore che si approccia al passaggio generazionale è raggiungere il duplice obiettivo di un ritorno finanziario per sé stesso, ed i suoi eredi, e assicurare al contempo la continuità dell’azienda. Il Private Equity rappresenta una soluzione che permette di raggiungere entrambe gli obiettivi attraverso la cessione della totalità, o di una maggioranza, delle quote della propria azienda a cui può segue l’inserimento di figure manageriali che assicurino la piena continuità aziendale ed il successo della staffetta gestionale.
    Come individuare il giusto partner/quali sono le caratteristiche che un fondo di private equity di avere per subentrare nel passaggio generazionale (i.e. modalità d’intervento, durata dell’investimento)?
    Se l’obiettivo dell’imprenditore è garantire la continuità ed il mantenimento dell’identità dell’azienda, questi deve scegliere il fondo di PE che meglio valorizzi le competenze della sua azienda e che identifichi da una parte i punti di debolezza e dall’altra faccia una strategia interno o esterna di buy and build per crescere.
    Spesso il partner giusto è quello che comprende e valorizza le competenze e che favorisce la crescita organica o inorganica in Italia e all’estero.
    Quali sono gli stereotipi più comuni che avete riscontrato da parte degli investitori?
    Capita spesso, soprattutto con aziende molto piccole che non hanno molta dimestichezza con i processi di Mergersand Acquisitions, che l’imprenditore abbia in mente una cifra ampiamente superiore alle valutazioni di mercato. Inoltre, ci è capitato molto spesso che l’imprenditore non accettasse un meccanismo di earn-out o che non volesse considerare un reinvestimento.
    In ultimo, ci sono sempre problemi di governance dove l’imprenditore vede male un organo indipendente o una gestione condivisa con terzi (il fondo o il management eletto dal fondo).

    Andrea Ancarani

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