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    Liste civiche ed etica universale di Mario Rossi

    Liste civiche ed etica universale
    di Mario Rossi
    Le elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre si caratterizzano ancora per il numero elevato di liste civiche. Molte di esse non riportano simboli o diciture tali da essere identificate come espressione di uno o più partiti nazionali. La parola d’ordine che circola in molte formazioni di questo tipo è questa: “Tralasciamo questioni etiche e ideali. Uniti si vince”. In questa linea nelle civiche si è soliti candidare persone di orientamento culturale e politico diverso e perfino contrapposto. Pare dunque che l’etica in politica non solo non sia necessaria, ma costituisca un ostacolo alla possibilità di vincere le elezioni e di governare il bene comune. In parlamento fa continuamente breccia un’interpretazione errata del concetto di laicità. Infatti c’è chi sostiene che si possa imporre come legittima qualsiasi decisione presa da una data maggioranza, anche violasse il diritto di ogni persona umana ad esistere e a sviluppare la propria personalità. Che esistano principi e valori inviolabili lo ha sancito anche la Costituzione italiana. Dunque bisogna fare chiarezza.
    Iniziamo col dire che molti cittadini ritengono utopistico pensare che si possa amministrare il bene comune senza accettare come riferimento un’etica universale. Per costoro l’uomo deve riconoscere che il suo comportamento ha un riflesso planetario e pertanto non può fare tutto ciò che vuole.
    Se per esempio prendiamo in considerazione la nostra epoca che si vuole “totalmente connessa”, non mancano osservatori che ritengono che persino il fenomeno informatico non possa sfuggire all’esigenza di un’etica universale. Infatti nella gestione dei dati informatici pubblici e privati si sta avvertendo ovunque questa necessità, cito fra i tanti Roberto di Cosmo, primo presidente dell’Open Source Thematic Group e creatore di Software Heritage, progetto di conservazione, senza scopo di lucro, del “codice sorgente”, ovvero l’urgenza di raccogliere, preservare, condividere il software pubblicamente disponibile sotto forma di codice sorgente (cfr. “Avvenire”, 26 sett. 2021 pp. 20). Di Cosmo spiega che se da un lato è doveroso rendere accessibile a tutti la conoscenza del patrimonio informatico pubblico, dall’altro bisogna salvaguardare la privacy e vigilare affinché i vari dati raccolti e gestiti dall’informatica non franino contro l’uomo ma siano a servizio della ricerca, della cultura, dell’industria e della società nel suo insieme.
    La pandemia in corso, il desiderio di risolvere il problema della fame, superare i conflitti, salvaguardare l’ambiente e i beni culturali e molte altre elevate aspirazioni, fanno capire che l’uomo deve regolare il proprio comportamento. L’umanità odierna ha bisogno di un’etica universale.
    Il Magistero cattolico illumina che cosa si debba intendere per etica universale ed insegna pure come l’uomo non debba disattenderla nella libera espressione delle proprie capacità culturali, professionali, sociali e politiche. In proposito consiglio vivamente lo studio del documento “Alla ricerca dell’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale” pubblicato dalla Commissione Teologica internazionale (cfr Civ. Catt. 2009 II, pp. 341-398). In questo testo si evince che non mancano a livello mondiale autorevoli iniziative per delineare un’etica universale, di cui una delle espressioni più alte è stata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). E aggiunge: “Purtroppo, con il pretesto che ogni indicazione di verità oggettiva sarebbe fonte di intolleranza, si fa l’apologia del relativismo”. Il documento inoltre afferma “che le persone e le comunità umane sono capaci, alla luce della ragione, di riconoscere gli orientamenti fondamentali di un agire morale conforme alla natura del soggetto. Ogni essere umano fa l’esperienza di una chiamata interiore a compiere il bene e ad evitare il male; su tale precetto si fondano tutti gli altri precetti della legge morale”.
    La Commissione così conclude: “Da molti decenni la questione dei fondamenti etici del diritto e della politica è stata messa da parte in alcuni settori della cultura contemporanea. Con il pretesto che ogni pretesa di una verità oggettiva e universale sarebbe fonte di intolleranza e di violenza, e che soltanto il relativismo potrebbe salvaguardare il pluralismo dei valori e la democrazia, si fa l’apologia del positivismo giuridico che rifiuta di riferirsi a un criterio oggettivo, ontologico, di ciò che è giusto. In tale prospettiva, l’ultimo orizzonte del diritto e della norma morale è la legge in vigore, che è considerata giusta per definizione, poiché è espressione della volontà del legislatore. Ma questo significa aprire la via all’arbitrio del potere, alla dittatura della maggioranza aritmetica e alla manipolazione ideologica, a detrimento del bene comune. Nell’etica e nella filosofia attuale del diritto, i postulati del positivismo giuridico sono largamente presenti. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso soltanto un compromesso tra interessi diversi; si tenta di trasformare in diritti interessi o desideri privati che si oppongono ai doveri derivanti dalla responsabilità sociale. Ma il positivismo giuridico è notoriamente insufficiente, poiché il legislatore può agire legittimamente soltanto all’interno di determinati limiti che derivano dalla dignità della persona umana e al servizio dello sviluppo di ciò che è autenticamente umano. Ora, il legislatore non può abbandonare la determinazione di ciò che è umano a criteri estrinseci e superficiali, come farebbe, ad esempio, se legittimasse da sé tutto ciò che è realizzabile nell’ambito delle biotecnologie. Insomma, deve agire in modo eticamente responsabile. La politica non può prescindere dall’etica né la legge civile e l’ordine giuridico possono prescindere da una legge morale superiore”.

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