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    Il principio di Sussidiarietà pietra angolare di ogni programma

    Il principio di Sussidiarietà
    pietra angolare di ogni programma
    di Mario Rossi
    Le ideologie che insanguinarono l’Europa fecero breccia anche nella cultura italiana al punto che tuttora, nonostante il fallimento dei regimi statalisti, molti ritengono che lo Stato sia il bene supremo. Secondo questa visione ideologica, persona umana, formazioni sociali, valori e diritti fondamentali, non devono essere riconosciuti e tutelati quali soggetti inviolabili “a priori” dello Stato, bensì dipendono dall’interesse generale deciso dallo Stato stesso, ovvero, in realtà, da chi occupa in esso il posto di comando. E che tale potere sia ormai occupato a danno dei cittadini lo dimostrano il malessere generale, la difficoltà di conseguire riforme, il degrado, la corruzione, il malaffare, l’imposizione fiscale esagerata, lo sperpero, le leggi che garantiscono a chi raggiunge il potere, di conservarlo oltre misura nel tempo.  
    La concezione che pone la persona umana quale soggetto inviolabile di ogni prassi, anche di quella politica, ritiene che lo Stato sia istituzione indispensabile che la società civile organizzata istituisce per la tutela del bene comune. In questa luce la società, per favorire il conseguimento dei propri obiettivi, deve affidare allo Stato questi compiti: difesa, giustizia, moneta; prelievo fiscale, programmazione, accreditamento, controllo di ogni gestione di pubblica utilità. Inoltre essa vigila affinché i propri rappresentanti, eletti con criterio democratico nelle istituzioni, legiferino in modo tale che ogni funzione e servizio siano attuati con trasparenza, efficienza e sobrietà. Se la società viene meno al proprio compito, ossia ad es. si disimpegna rispetto alle proprie responsabilità, delega oltre misura allo Stato, elegge persone corrotte o incapaci, lo Stato si corrompe e il livello di civiltà degrada. E siamo alla situazione attuale.
    Gli eletti nelle istituzioni devono porre attenzione affinché la legge mantenga distinto il ruolo di programmazione e controllo di ogni servizio pubblico (compito che compete allo Stato) rispetto al ruolo di gestione di ogni servizio pubblico (compito pertinente alla società civile organizzata).
    Diversamente, se programmazione, gestione e controllo spettassero solo allo Stato o anche solo alla società civile organizzata, il sistema diventa auto referente e si deteriora.  
    La crisi che da decenni travaglia il nostro Paese deriva da questa impostazione errata: lo Stato gestisce direttamente anche quanto dovrebbe essere di competenza della società civile organizzata. In tal modo esso gestisce e controlla se stesso. Lo Stato nasce da una esigenza della natura umana, va  reso efficiente affinché risponda e rego li bene comune dei cittadini.
    Il bene comune risponde alle esigenze della natura umana; va però sempre rapportato alla situazione concreta, cioè storica di un popolo.
    Il principio di sussidiarietà, già intuito dalla cultura greca e maturato poi nella cultura e nella dottrina cristiana, è il fondamento della nostra civiltà. Esso regola il rapporto di servizio vicendevole non solo fra la società civile e le istituzioni, ma anche all’interno della società civile stessa.
    Il termine “sussidiario” nella lingua italiana indica una funzione ausiliaria. Un’ottima definizione e commento del principio di “Sussidiarietà” nel Catechismo universale della Chiesa cattolica:
    “Secondo tale principio una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella di altre componenti sociali, in vista del bene comune” (art. 1883).
    “Il principio di sussidiarietà si oppone a tutte le forme di collettivismo. Esso precisa i limiti di intervento dello Stato. Mira ad armonizzare i rapporti tra gli individui e la società. Tende ad instaurare un autentico ordine internazionale” (art. 1885).
    “Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana” (art. 1892).
    “Secondo il principio di sussidiarietà, né lo Stato né alcuna società più grande devono sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle persone e dei corpi intermedi” (art. 1894).
    “E’ compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della società civile, dei cittadini, dei corpi intermedi” (art. 1910). (Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1992).
    Il principio di sussidiarietà si coniuga in naturale armonia con i principi di solidarietà, di universalità, di efficacia e di efficienza. Mentre il principio di sussidiarietà, come ho detto, è frutto della cultura greca e cristiana, il principio di solidarietà invece venne innalzato a valore universale da Gesù Cristo. Fondando la Chiesa, Gesù volle che l’amore verso il prossimo divenisse segno di salvezza per ogni uomo di ogni epoca storica.  
    Benché nel corso della Storia molti cristiani non abbiano sempre vissuto in coerenza con l’insegnamento evangelico, tuttavia da esso deriva una concreta e non utopistica concezione sociale, che può essere colta anche da non cristiani almeno come fondamento etico per il bene delle nazioni.
    L’obiettivo di promuovere il principio di sussidiarietà anche all’interno degli ordinamenti giuridici degli Stati fino ad incidere nel tessuto sociale delle nazioni, è sempre stato e dovrà rimanere quindi un obiettivo dei cristiani e delle persone di buona volontà.
    Questo sforzo ha inciso non poco negli ordinamenti giuridici. Ha influito ad esempio nella normativa europea e nella Costituzione italiana. L’art. 5 (ex art.3B), 2 comma, del Trattato di Maastricht, approvato il 7 febbraio 1992, recita: “Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la comunità interviene secondo il principio della sussidiarietà soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri…”.
    In Italia, con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, legge fortemente voluta dal mondo cattolico, condivisa da vari partiti non ideologici del tempo, si approva una sostanziale modifica del Titolo V della Costituzione. Gli articoli 117, 118, 120 illuminano oggi di luce nuova il rapporto fra cittadino e istituzioni; rileggiamoli con attenzione:
    l’art. 117 regola la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni; al comma 1 recita: “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali…”;
    l’art. 118 disciplina le funzioni amministrative attribuite ai comuni; al 1 comma recita: “ Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”; l’art. 118, 4 comma, recita: “Stato, Regioni, Città, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”;
    l’art. 120, 2 comma, recita: “La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
    Da questo si deduce  che esiste un potere sostitutivo dello Stato nei confronti degli enti locali nel caso di inerzia o di mancato funzionamento dell’ente stesso alle proprie funzioni. Ciò non significa però che lo Stato possa arrogarsi compiti o funzioni che possono meglio essere svolti a livello territoriale dal cittadino, dalla società civile organizzata, dagli enti locali.

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