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La “NATO” del Pacifico soppianterà la NATO di Bruxelles?
di Marco D’Agostini
Col Trattato di Washington del 1949 furono gettate le basi per la costituzione della NATO cui si ispirarono successive organizzazioni costituite, su iniziativa o ispirazione degli USA, per realizzare, nel momento in cui andava ad acuirsi il confronto tra i due blocchi, una sorta di cinta di contenimento dell’Unione Sovietica. Sorserò così altre alleanze e organizzazioni come l’ANZUS (Australia, New Zealand, United States Security Treaty), nel 1952, la Southeast Asia Treaty Organization (SEATO)– che comprendeva Australia,Filippine,Francia,Nuova Zelanda,Pakistan, Regno Unito,Stati Uniti d’America e Thailandia – nel 1954 e, quasi a cerniera tra NATO e SEATO, nel 1955, la Central (Asia) Treaty Organisation – CENTO, ispirata dagli Stati Uniti, che tuttavia non vi aderirono formalmente, e composta da Turchia, Iraq, Iran, Pakistan e Regno Unito.
Questa rete di alleanze disegnava chiaramente la centralità, nella strategia USA, della regione del Mediterraneo e del Medio Oriente, area geografica circoscritta da ben due alleanze, a Nord dalla NATO e a Sud dalla CENTO.
Tale centralità fu, se possibile, rafforzata dalla longevità della NATO a fronte della progressiva crisi di altre alleanza regionali, tra cui il dissolvimento della SEATO, nel 1977, e della CENTO, a seguito della rivoluzione komeinista in Iran, nel 1979, sostituite, laddove possibile, da accordi bilaterali.
Anche l’ANZUS entrò in crisi, nel 1985, a seguito del bando delle armi nucleari dal territorio della Nuova Zelanda, che determinò la sospensione di tale Paese dall’accordo, trasformandosi di fatto in un’alleanza bilaterale tra Stati Uniti e Australia.
La centralità della NATO, a più di 70 anni dalla sua costituzione –nonostante il Presidente Biden abbia dichiarato, in occasione del Summit del 14 giugno 2021, che la NATO rimane essenziale per l’America – è stata posta in forte discussione dalla notizia delPatto di difesa trilateraleAUKUS tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito, diffusa il 16 settembre 2021. L’accordo, presentato come un contributo dei tre partner per la stabilità della regione dell’Indo-Pacifico, da un lato, costittuisce un segnale politico forte alla Cina sull’impegno degli Stati Uniti nell’area e, dall’altro, sul piano operativo, apre la strada all’impiego di sottomarini a propulsione nucleare da parte dell’Australia.
Non sono tanto i contenuti dell’accordo ad incidere sulla centralità dell’Alleanza Atlantica quanto il fatto che l’accordo medesimo si inserisce al culmine di una serie di eventi che segnalano il progressivo spostamento del focus della strategia americana dal Mediterraneo e il medio Oriente al Pacifico.Tra tali eventi figurano la riduzione della presenza militare americana nel Mediterraneo, riduzione senza della quale non sarebbero stati possibili l’assalto alla sede diplomatica americana in Libia, nel 2021, in cui perse la vita l’Ambasciatore degli Stati Uniti, e l’annientamento dei ribelli curdiin Siria, già supportati dagli americani, sterminati su due lati, dai turchi e dai siriani tra il 2018 e il 2019. In tale prospettiva anche l’abbandono dell’Afghanistan, lo scorso agosto, e il preannunciato disimpegno dall’Iraq, appaiono come dei corollari di questo più ampio processo di trasferimento del focus sul Pacifico.
L’accordo AUKUS, tuttavia, non solo conferma lo spostamento della centralità dell’attenzione degli Stati Uniti dall’area tra l’Atlantico e il Medio Oriente al Pacifico, bensì attesta anche la crescente marginalità dell’Unione europea, esclusa dall’accordo AUKUS sia in quanto tale sia indirettamente, in quanto non coinvolta la Francia, che pure ha grossi interessi nell’area (dispone infatti, solo nella Polinesia francese, di 4,8 milioni di km quadrati di Zona economica esclusiva, cioè un’area 8 volte più grande del suo territorio nazionale). Con l’accordo AUKUS, inoltre, la Francia è stata estromessa da un accordo commerciale con l’Australia per la vendita di sottomarini diesel per un valore di circa 90 miliardi di dollari.
Ma se l’ Europa viene marginalizzata dall’area che sta divenendo centrale per gli altri players globali, non rischia di divenire sempre più, ancorché unita, un mero attore locale, incapace di incidere sul quadro globale?
Per evitare questo è necessario che emerga una più evidente volontà politica di compiere un salto per assicurare all’Unione europea una più incisiva presenza sulla scena internazionale.
In tale prospettiva lo scorso 10 novembre l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ha presentato la “Bussola strategica per la Sicurezza e la Difesa”, un documento della Commissione che dovrà essere approfondito dalle istituzioni comuni, Parlamento e Consiglio, ma soprattutto dai governi degli Stati membri che restano i protagonisti in questo campo. La bussola strategica prefigura alcuni progressi come la creazione una forza di intervento rapido di 5000 unità, che dovrebbe consentire all’UE una capacità più concreta di intervento, una cooperazione accresciuta in settori quali la cybersicurezza, la politica spaziale e l’intelligence nonché il lancio di un piano di investimenti tesi a rafforzare l’interoperabilità e la presenza europea in settori di punta come l’intelligenza artificiale, i missili ipersonici, lo sviluppo delle reti satellitari e delle loro capacità di protezione, la ricerca sui mezzi terrestri corazzati, navali e aerei.
Resta tuttavia molto da fare, sia nell’ambito dell’attuale quadro istituzionale europeo, sia in termini di evoluzione dello stesso.
Per quanto concerne l’attuazione dei Trattati vigentioccorre esplorarne tutte le potenzialità. Con l‘articolo 42, paragrafo 7, introdotto dal Trattato di Lisbona, che prevede che “Qualora uno Stato membro subiscaun’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti imezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite “, l’Unione è divenuta a tutti gli effetti anche un’organizzazione di difesa reciproca. Se l’Europa non vuole essere marginalizzata dalle sfide mondiali deve allora trovare il coraggio di portare fini in fondo questa scelta, realizzando quella cooperazione più strutturata in materia di difesa tra gli Stati che lo desiderino, in conformità con l’articolo 46, e sviluppando le proprie capacità operative.Occorre inoltre superare, laddove già consentito dai Trattati vigenti, lo scoglio delle decisioni all’unanimità in quanto, senza l’adozione del voto a maggioranza, in questo campo si determina solo immobilismo.
Ma sussistono dei nodi politici senza la cui soluzione non vi sono soluzioni tecnico-operative che tengano. La Francia, ad esempio, che dopo la Brexit è rimasta l’unica potenza nucleare nell’Unione e l’unico membro permanente dell’Unione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è disposta a “europeizzare” la sua strategia nucleare, la sua strategia nel Pacifico e la sua strategia alle Nazioni Unite? E i partner europei, per contro, sono disponibili a parlare di una dottrina nucleare comune, di una presenza più coesa tra loro alle Nazioni Unite e di un’assunzione di responsabilità anche oltre i confini delle tradizionali zone di presenza, come potrebbe essere appunto il Pacifico?
Se si compiranno dei veri progressi su questi nodi politici allora vi saranno anche le premesse per dei progressi in campo istituzionale quali un generalizzato superamento del voto all’unanimità su queste materie, il parallelo riconoscimento di più ampi poteri di controllo e indirizzo al Parlamento europeo, che ha ancora competenze limitate in materia di difesa, una più efficace ripartizione di responsabilità e ruoli tra i Paesi membri neutrali e gli Stati disponibili ad un accresciuto livello di integrazione, e la formale adozione di una vera politica di difesa comune.
Se gli europei dimostreranno a se stessi e agli alleati americani di avere una maggiore consapevolezza delle responsabilità che spettano loro, allora la NATO, che ha già assicurato al nostro Continente quasi 80 anni di pace, non solo non verrà affievolitadal dinamismo dell’AUKUS ma, più in generale, il ruolo dell’Europa sarà riconosciuto e rispettato tanto sul lato dell’Atlantico, quanto su quello del Pacifico.
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