La democrazia come processo inclusivo
Flavio Felice
“Democrazia come processo inclusivo. Speranza, utopia, distopia ai tempi del Covid”, è il titolo del seminario che si è svolto a Verona il 26 novembre, nella cornice dell’XI edizione del Festival della Dottrina Sociale della Chiesa; il seminario è stato introdotto da un intervento di Rocco Buttiglione, attualmente titolare della cattedra Edith Stein dell’Università di Granada.
Inclusione sociale significa, in primo luogo, operare affinché nessuna pretesa rendita possa trovare una qualsiasi soddisfazione. Inclusione sociale significa anche educare alla cultura della condivisione e predisporre un rigoroso sistema istituzionale che impediscal’affermazione (e punisca) i tanti o i pochi percettori di rendite di monopolio, siano esse politiche, economiche, culturali. E, naturalmente, inclusione sociale indica anche una chiara opzione per una partecipazione politica più inclusiva dei cittadini al processo decisionale. Infatti, come sottolinea John Dunn, non bisognatrascurare le conseguenze che provoca il senso d’impotenza nella valutazione della qualità di una democrazia. Quando i cittadini si sentono del tutto impotenti nell’influenzare la cosa pubblica, la loro relazione con la politica assume caratteri patologici, dal momento che smettono di interessarsene ovvero se ne interessano sporadicamente e in maniera impulsiva, con il deliberato intento di manifestare rabbia o paura, dando quindi sfogo ai propri sentimenti. Questa reazione istintiva invece di favorire una partecipazione diretta, favorisce al contrario gli egoismi dei singoli. Proprio per evitare una simile deriva, è necessario che l’inclusione sia tutelata con il ricorso a nome e procedure, talvolta anche di rango costituzionale, che possano enfatizzare l’azione del singolo, soprattutto in quanto membro di una comunità.
Ma la democrazia non è solo un insieme di regole, non è un meccanismo irreversibile. Se Norberto Bobbio ha potuto affermare «se mi chiedete se la democrazia abbia un avvenire e quale sia, posto che l’abbia, vi rispondo tranquillamente che non lo so» e se lo stesso Dunn ha potuto ammettere che «in politica, democrazia è il nome di ciò che non possiamo avere, e che tuttavia non possiamo smettere di volere», si comprende come il problema democratico assuma un carattere multidimensionale: esso non è riducibile ad una mera, per quanto sofisticata, questione tecnica, fatta esclusivamente di “universali procedurali” certi, risolvibile mediante il ricorso a qualche elegante algoritmo.
La democrazia è il miglior sistema a difesa della libertà, quello che consente ai partiti, in concorrenza tra loro, di giocare l’uno contro l’altro, evitando le pressioni e le oppressioni tipiche dei sistemi caratterizzati dalla presenza di un unico partito. Da ciò, si evince che il suo grande nemico è l’assenza di mobilità politica, economica e sociale il che, con particolare riferimento al pensiero di Luigi Sturzo, si traduce in una proposta teorica decisamente contraria al tradizionale organicismo e che accosta la nozione di “società organica” del sacerdote siciliano a quella di “società aperta”. La cifra politica di quest’ultima è infatti la possibilità che sia garantita una revisione istituzionale capace di condurre il Paese a un grado sempre più alto didemocrazia costantemente articolata e capillare.
Naturalmente, la democrazia competitiva può assumere i caratteri del conflitto sociale e dell’instabilità, dal momento che le sue posizioni apicali sono scalabili, tant’è vero che la contendibilità del potere mediante un processo regolato è una sua caratteristica imprescindibile. Ma proprio tale meccanismo consente un’intensa partecipazione plurarchica, oltre che poliarchica. Tale idea di partecipazione-inclusione è ben presente nelle riflessioni di Alexis de Tocqueville e di Sturzo e aiuta ad affrontare in maniera critica il tema della dicotomia formale-sostanziale tipica della riflessione sulla democrazia, poiché enfatizza e tutela, senza eccessi distorcenti, i valori di partecipazione, di libertà e di eguaglianza. In tal senso, infatti, includere, da un lato, significa incorporare la nozione quantitativa di “grado d’inclusione” delineata da Robert Dahl, dall’altro, tenta di superarla, in quanto definisce la partecipazione come un processo che porta dalla condizione di estraneo e di disadattato a quella di integrato e di soggetto attivo; in pratica, dalla condizione di suddito a quella di cittadino sovrano.