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    PNRR: i Comuni alla prova

    PNRR: i Comuni alla prova

    Tanti soldi arriveranno dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza, il famoso PNRR. L’Italia potrà disporre di risorse mai viste prima: ma, come spesso accade, anche i problemi di abbondanza devono essere gestiti bene e, in questo caso, occorre chiarezza e metodo per direzionare in modo corretto le proposte di investimenti che il PNRR consente. Pena il ristorno dei soldi non spesi per tempo.

    La burocrazia italiana non aiuta e rischia di costituire il più classico degli imbuti dove le idee e soprattutto le risorse rischiano di ingolfarsi.

    Un terzo delle risorse messe a disposizione dal PNRR saranno gestite da Regioni ed enti locali, comuni e province e questo potrebbe rappresentare un problema, soprattutto legato alle tempistiche che il piano impone.

    E’ notizia di questi giorni che, ad esempio, la Regione Sicilia ha visto respingere tutti e 31 progetti presentati al ministero dell’Agricoltura avendo già il triste record nel 2020 della regione con più opere incompiute d’Italia.

    Del resto, pur con la ripresa dei contagi e le necessarie precauzioni anticontagio, occorre sostenere l’andamento della nostra economia e il PNRR è una occasione imperdibile.

    Il punto critico è la capacità dei nostri Enti locali di avviare gli iter necessari alla presentazione di progetti attuabili e alla loro implementazione nel tempo.

    L’incognita principale riguarda il ruolo che gli enti territoriali (regioni, province, comuni, città metropolitane) avranno nella realizzazione del Piano, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli enormi investimenti messi a disposizione per aumentare la capacità di ripresa del Paese e dei suoi territori.

    Le risorse del PNRR ammontano a quasi 200 miliardi e verranno erogate in tranches da qui al 2026 man mano che saranno prodotti gli stati di avanzamento delle attività. Per comprendere la difficoltà della burocrazia si deve considerare che sono state poste dall’Europa ben 527 condizioni che l’Italia dovrà rispettare. Queste condizioni sono divise tra “traguardi” (milestones) e “obiettivi” (targets).

    Le prime sono di tipo qualitativo (per esempio approvare una riforma con determinati contenuti); le seconde riguardano soprattutto i risultati della spesa finanziata dalle risorse europee (obiettivi raggiunti nel tempo concesso).

    Per nostra fortuna, le scadenze sono state posticipate relativamente agli obiettivi e anche le condizioni che inizialmente devono essere rispettate sono inferiori: su 51 condizioni nel 2021 gli obiettivi da raggiungere sono solo due, ma già nel 2022 su 100 condizioni da rispettare gli obiettivi da cogliere salgono a 17.

    Se, dunque, per qualche mese possiamo stare tranquilli, occorre prepararci da subito per essere performanti già dal prossimo anno.

    Se buona parte del problema viene rimandato (ma non di molto), temporeggiare sarebbe fatale. Per questo è fondamentale avviare da subito tutte le azioni necessarie alla progettazione alla definizione di cronoprogrammi attendibili per non farci trovare impreparati quando le scadenze si avvicineranno. Il fattore tempo è determinante e non suscettibile di ulteriori proroghe, proprio per la volontà espressa dall’Europa di massimizzare i benefici di ritorno dagli investimenti necessari alla ripresa.

    Un terzo delle risorse, pari a 66 miliardi saranno in mano agli enti territoriali.

    Serviranno per investimenti nella scuola (asili nido e scuole dell’infanzia in particolare), trasporto pubblico locale, sanità, rigenerazione urbana, gestione dei rifiuti, eccetera. Gli enti territoriali dovranno anche partecipare alla digitalizzazione di tutta la pubblica amministrazione, grave lacuna storica e principale obiettivo per l’Italia.

    Tecnicamente regioni e comuni dovranno presentare ai ministeri competenti i documenti di progetto che, una volta approvati, daranno il via alle operazioni che termineranno con le rendicontazioni e i successivi saldi contabili.

    Certamente quando parliamo di enti del territorio non dobbiamo pensare a realtà omogenee, ma a una pletora molto diversificata di soggetti per dimensioni, efficienza organizzativa, competenze diffuse. Anche la distribuzione territoriale sconta differenze sostanziali tra aree metropolitane, territori montani, isole ecc…

    Dicevamo della Sicilia, ma anche altre regioni hanno visto respingere diverse loro proposte: nel 2020, il numero di opere incompiute per regione era di 40 nel Sud (comprese le isole), contro 16 al Centro e 8 al Nord. Punte particolarmente elevate si osservavano per la Sicilia (133) e la Sardegna (53), ma anche senza queste regioni la media del Sud restava elevata (19), più del doppio di quella del Nord.

    Il paradosso pare evidente: le regioni che più necessitano di investimenti e modernizzazione sono quelle più in difficoltà a gestire le procedure imposte dal PNRR.

    Per questi motivi a Roma e anche in Europa stanno pensando di organizzare una sorta di “cabina di regia” tecnica con la quale guidare e monitorare gli enti territoriali per metterli nelle condizioni di adempiere ai propri compiti e non rimanere al palo.

    Pietro Broccanello

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