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    Dario Antiseri Un’Europa scristianizzata è ancora Europa?

    Dario Antiseri

    Un’Europa scristianizzata è ancora Europa?

    «L’Europa è socratica nella mente e cristiana nella volontà». Così Salvador De
    Madariaga. E in realtà se è vero, per dirla con P.B. Shelley, che «noi tutti siamo greci», e
    altrettanto vero, come ha scritto W. Röpke, che «soltanto il Cristianesimo ha compiuto
    l’atto rivoluzionario di sciogliere gli uomini, come figli di Dio, dalla costrizione dello Stato e,
    per parlare come Guglielmo Ferrero, di demolire l’esprit pharaonique dello Stato antico».
    Fu «per semplice osservanza della verità» che Benedetto Croce volle precisare in Perché
    non possiamo non dirci cristiani che «il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che
    l’umanità abbia mai compiuto» – e ciò «per la ragione […] che la rivoluzione cristiana
    operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale e, conferendo risalto all’intimo e
    proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova
    qualità spirituale, che fino ad allora era mancata all’umanità». E ne La società aperta e i
    suoi nemici Popper è pronto a riconoscere che «gran parte dei nostri scopi e fini
    occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influenza del
    Cristianesimo […]. I primi cristiani ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il
    potere e non viceversa». E la coscienza di ogni singola persona, come ultima corte di
    giudizio nei confronti del potere politico, in unione con l’etica dell’altruismo, «è diventata la
    base della nostra civiltà occidentale». E, qua giunti, solo un’ulteriore annotazione. Prima
    dei pensatori richiamati, un intellettuale francese amante della libertà come E. Laboulaye
    faceva presente, in L’etat et ses limites, che noi dobbiamo la nostra libertà moderna al
    coraggio dei martiri cristiani di fronte al tardo dispotismo romano: «I palazzi dei papi hanno
    rimpiazzato il palazzo di Cesare, il Vaticano parla di potenza alla Chiesa; ma al di sotto di
    questo splendido edificio ci sono le catacombe, le quali parlano di libertà».
    È «per semplice osservanza della verità» che il valore che il Cristianesimo dà alla
    libera e responsabile coscienza di ogni singola persona, di ogni uomo “fatto ad immagine
    e somiglianza di Dio”, ha creato, a livello politico, una tensione che attraversa tutta la
    storia dell’Occidente. Káysar non è Kýrios: una spina nella carne nelle pretese onnivore
    del potere politico – principio religioso e insieme etico, sorgente inesauribile di una miriade
    di “corpi intermedi” (ospedali, orfanatrofi, associazioni di carità, ordini religiosi,
    confraternite, monti frumentari, scuole cattedrali, università, scuole professionali,
    cooperative, movimenti politici, casse di risparmio, giornali, case editrici, organizzazioni
    giovanili, ecc.) che, pur tra cedimenti e collusioni, rappresentano realizzazioni concrete di
    quel grande principio di libertà e solidarietà che è il principio di sussidiarietà.
    Agli inizi degli anni Cinquanta, Nikita Kruscev chiese ad Harold Macmillan – allora
    ministro degli Esteri della Gran Bretagna – che cosa fosse ciò in cui crede l’Occidente. E
    Macmillan rispose: «L’Occidente crede al Cristianesimo». È inimmaginabile un’Europa –
    nella sua storia e nella sua configurazione, nelle istituzioni dello Stato di diritto – senza
    l’irruzione del messaggio cristiano nella storia degli uomini. E certamente non aveva
    affatto torto Thomas S. Eliot a sostenere che «se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta
    la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie». Insomma,
    un’Europa desacralizzata, che pare aver dimenticato le idealità cristiane, quando
    esplicitamente non le rifiuta o addirittura le calpesta, questa Europa è ancora Europa?
    Della “spaventosa scristianizzazione” della nostra civiltà nessuno può ormai
    dubitare. Ed è proprio questa – annotava W. Röpke in quella grande opera che è Al di là
    dell’offerta e della domanda – quella malattia spirituale che via via ha infettato sempre più

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    larghi strati delle popolazioni europee. Ed è esattamente così che del tratto più importante
    dell’identità europea, cioè del messaggio cristiano, si pretende da più parti di farne a meno
    quale ospite indesiderato nella propria casa. È quanto accadde, in modo eclatante,
    allorché si decise che dal Preambolo della progettata Costituzione europea venisse
    cancellato il richiamo alle radici cristiane dell’Europa. E, in altri contesti, cosa analoga è
    accaduta e accade a più riprese con la richiesta che, per esempio, venga tolto il crocifisso
    dai luoghi pubblici, come i tribunali o ancor più dalle scuole, o che venga vietato
    l’allestimento del presepe negli asili e in tutti gli altri ordini di scuola e in ogni altro edificio
    pubblico. E, finalmente, ecco la raccomandazione della Commissione europea: eliminare
    dal linguaggio degli auguri natalizi termini ed espressioni di chiaro riferimento alla fede
    cristiana. E perché mai tutto ciò? Per la ragione (!!!), si ripete, che si tratterebbe di
    “simboli” che offenderebbero quanti credono in fedi diverse dal Cristianesimo.
    Ora, a parte il fatto che non sono i fedeli di religioni differenti da quella cristiana ad
    esigere di staccare i crocifissi dalle scuole e dai tribunali, a non allestire i presepi o a
    imporre la neo-lingua degli auguri, viene subito da chiedersi: per quali mai ragioni fedeli di
    altri credo non cristiani, fuggiti dai loro Paesi dilaniati dagli orrori di oppressioni e di guerre
    dovrebbero sentirsi offesi da “simboli” e “tradizioni” di una fede – quella cristiana –
    costitutiva di una civiltà disposta ad accoglierli e a strapparli dalla morte e dalla fame?
    Perché mai tutti costoro non dovrebbero guardare con rispetto a “simboli” e “tradizioni” di
    una civiltà – la più inclusiva – che affonda le proprie radici nel messaggio di Colui che è
    morto in croce?
    Rispettare gli “altri” non significa né equivale a cancellare se stessi; e una società
    non è inclusiva di altre tradizioni e di culture altre solo a patto di escludere se stessa. Ma
    questo, purtroppo, sembrano aver pensato quei burocrati di Bruxelles che, quali burbere
    maestrine con la matita rossa, hanno preteso – magari con le migliori intenzioni – di
    insegnare alle mai cresciute popolazioni europee a non dire “parolacce”.
    L’Europa – e più ampiamente l’Occidente – non è il Continente più inclusivo, più
    tollerante e maggiormente rispettoso dei diritti individuali nonostante che sia cristiano – lo
    è proprio perché cristiano, pur nei non negabili errori della cristianità.
    Per concludere, un ammonimento di Antonio Rosmini: «Chi non è padrone di sé, è
    facilmente occupabile». E una cartolina a Bruxelles con un pensiero di Goethe: «Nulla è
    più funesto dell’ignoranza attiva!».

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