Il volontariato come palestra di democrazia e di solidarietà
Flavio Felice
Il 5 dicembre si è celebrata la giornata mondiale del volontariato e, dal momento che spesso viene presentato come sussidiario rispetto ai compiti dell’autorità politica, credo sia utile rappresentare, per sommi capi, una linea teorica alternativa che invece vede l’autorità politica, all’occorrenza e temporaneamente, sussidiaria dell’azione libera e volontaria dell’associazionismo, in tutte le sue forme: il paradigma della sussidiarietà.
Parlare di volontariato, in una società aperta,significa individuare il contesto teorico nel quale comprendere un fenomeno così importante. Tale contesto è dato dal principio di sussidiarietà: cardineempirico della moderna Dottrina sociale della Chiesa e, dal Secondo Dopoguerra, principio ordinatore indispensabile alla disarticolazione funzionale della nozione di “sovranità”, presupposto del processo di unificazione europea e della nascita delle istituzioni comunitarie. Possiamo attingere ad una vasta letteratura e ad una ricca tradizione che, dal movimento comunale e dal repubblicanesimo pre-umanista, giunge alla teorizzazione di Johannes Althusius sulla dimensione federale della sovranità. In breve, piuttosto che seguire la linea teorica classica continentale che da Machiavelli giunge ad Hobbes, passando per Bodin, seguiamo il sentiero tracciato da Althusius e introdotto da Bartolo daSassoferrato: “Universitas superiorem non recognoscens est sibi princeps”. Da qui si giunge alla nozione di self-government e all’esperimento Nord americano, mirabilmente descritto da Alexis de Tocqueville, il quale individuò nell’arte dell’associazionismo il segreto del successo della democrazia americana, rispetto al terroredella Rivoluzione francese, al tradimento napoleonico e all’inutile tentativo legittimista di portare indietro le lancette dell’orologio.
Le associazioni, elaborando statuti, eleggendo gli organi dirigenti e coltivando il dibattito al loro interno,hanno rappresentato un’inestimabile palestra per lo nascita e lo sviluppo dello spirito democratico e, in tal senso, a prescindere dalla supposta rilevanza sociale dei servizi offerti dalle singole associazioni; qualsiasi associazione svolge una funzione vitale per la maturazione degli ideali e delle azioni dai quali scaturisce la rete istituzionale che chiamiamo democrazia.
Prima dell’avvento dello Stato e, con esso, del welfare state, qualsiasi attività sociale era di pertinenza delle associazioni di volontariato, normalmente di carattere religioso: università, scuole, ospedali, musei, orchestre, biblioteche e quant’altro fosse qualificabile come agenzia di pubblica utilità. Si tratta di una vasta rete di “enti concorrenti” che danno vita ad un’organizzazione sociale al centro della quale abbiamo il ruolo attivo della società civile, intesa non come lo strumento di legittimazione del potere politico, bensì come la linea di confine e l’elemento critico che dall’esterno lo controlla e ne impedisce la tracimazione.
La rete del volontariato, oltre a rappresentare un inestimabile strumento per l’educazione all’idea democratica e per la sua massima diffusione, svolge un’insostituibile funzione di educazione alla solidarietà sociale. In fondo, l’eventuale scomparsa del volontariato finirebbe per espandere l’idea economicista che tutto abbia un prezzo, riducibile al costo espresso in termini monetari; il che significa che solo ciò che è riducibile in tali termini meriterebbe di essere preso sul serio. Gli economisti sono soliti parlare di effetto spiazzamento: le motivazioni estrinseche spiazzano le intrinseche. Quando ambiti dell’agire umano caratterizzati da principi come la reciprocità e il dono vengono occupati da principi che rispondono rigorosamente allo scambio degli equivalenti, gli ultimi tendono ad estromettere i primi. Per esempio, se sono pagato per fare una qualsiasi gentilezza, magari un sorriso, tenderò a farlo di meno gratuitamente.
La rete del volontariato può essere un’autentica palestra di democrazia e di solidarietà, conformi all’organizzazione di una società libera ed aperta. In tal senso, pluralismo, democrazia e solidarietà andrebberoben oltre la mera coesistenza di più punti di vista e non interpretano il celebre motto “E Pluribus Unum” come un gioco a somma zero, nel quale le singole prospettive culturali si annullano a vicenda per dar vita ad una realtà artificiale culturalmente e politicamente neutra: una naked public square; magari così neutra e spoglia dapretendere di neutralizzare il Natale, e chi volesse ancora festeggiarlo, con una fredda circolare interna della Commissione Europea. L’unità d’intenti non andrebbe perseguita a spese della pluralità delle posizioni, certo consapevoli delle difficoltà e delle inevitabili tensioni che possono scaturire da un simile approccio. Lungi dal considerare le tensioni una patologia della vita politica, è necessario che esse siano salutate come una preziosa opportunità per l’elaborazione di una innovativa politica sociale, aperta ad inedite soluzioni. Si tratta di un’opera impegnativa che esalta la politica non tanto come “l’arte del possibile”, quanto come “l’arte di scoprire ciò che è possibile”, il che significa che il compito del politico è di scoprire le modalità e le procedure affinché un obiettivo o in ideale ritenuti comuni possano essere raggiunti tra una miriade di interessi particolari.