L’elezione del capo dello stato e il futuro del governo: un intreccio molto delicato.
Maurizio Cotta. 11 gennaio 2022
La fine naturale del mandato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la necessità istituzionale di eleggere il suo successore cadono in un momento politico tale da rendere molto particolare e complesso questo processo che pur rientra nella ordinarietà della Costituzione italiana.
Le elezioni dei Presidenti della Repubblica hanno sempre avuto una certa complessità legata alla necessità di una maggioranza particolarmente elevata (due terzi del collegio) nei primi tre scrutini e poi della maggioranza assoluta in quelli successivi. La tradizionale frammentazione del sistema partitico italiano ha spesso reso faticoso trovare una soluzione largamente condivisa e giochi tattici poco trasparenti hanno avuto ampio spazio. Ma c’è un fattore ulteriore che rende particolare questa elezione rispetto ad altre precedenti: il quadro veramente critico del sistema dei partiti. Gli ultimi Presidenti della Repubblica sono stati eletti in situazioni politiche diverse, ma accomunate dal fatto che o vi era un governo di maggioranza politica (il governo D’Alema per l’elezione di Ciampi nel 1999; il governo Renzi per l’elezione di Mattarella nel 2015), oppure che le elezioni avevano comunque indicato una maggioranza vincitrice (quella dell’Ulivo di Prodi nel 2006 per l’elezione di Napolitano). Un po’ più complicato il momento che portò al secondo mandato di Napolitano nel 2013: le elezioni avevano assegnato una maggioranza alla Camera alla coalizione di centro-sinistra ma non al Senato e le difficoltà nel formare il governo spinsero i partiti a chiedere a Napolitano (allora in scadenza) di accettare una rielezione.
Oggi invece l’elezione del capo dello stato si svolge in un contesto caratterizzato da un grave vuoto politico, reso ben evidente dal fatto che, in un momento critico per il paese, si è dovuto ricorrere per la guida del governo a una figura di grande prestigio internazionale, come l’ex presidente della BCE, Mario Draghi, ma estranea al sistema dei partiti italiani. Non c’è da stupirsi quindi se i partiti mostrino oggi tutte le loro difficoltà anche nell’affrontare l’elezione presidenziale. Tanto più che in questo momento l’elezione del capo dello stato acquista un carattere di particolare delicatezza per un duplice motivo: per il fatto che il governo in carica ha un particolare legame con la presidenza uscente che lo ha promosso e poichè sulla nuova presidenza si scaricheranno presto i problemi della gestione dei risultati delle prossime elezioni politiche del 2023 (se non anticipate) che con alto grado di probabilità non porteranno ad un facile esito di governo.
Partiamo dal primo punto: come mai prima in passato questa elezione presidenziale si connette con la vicenda del governo, il suo svolgimento ed esito sono destinati quindi a riflettersi su un governo che per di più ha responsabilità politiche molto impegnative. Questi effetti sono dovuti innanzitutto al fatto cheanche il capo del governo è tra i papabili con la ovvia conseguenza che se eletto dovrebbe lasciare la guida dell’esecutivo. Poi perché un governo come quello di Draghi trae origine proprio da una investitura fiduciaria del presidente uscente, seppur confermata come è ovvio dal parlamento. Potrebbe restare in piedi questo governo qualora nella scelta del presidente si delineasse una maggioranza diversa da quella sulla quale il governo Draghi è stato costituito? Sul piano strettamente formale non c’è alcun problema, su quello politico invece, come peraltro ha suggerito lo stesso Draghi nella conferenza stampa pre-natalizia, sarebbe difficile proteggere il governo dalle conseguenze di una simile svolta. La scelta del nuovo presidente dovrebbe quindi tenere in conto queste potenziali ricadute sul governo.
Il secondo aspetto che rende delicata questa elezione è che il nuovo presidente dovrà ovviamente occuparsi presto del quadro politico che emergerà dalle prossime elezioni. Sia che queste si tengano con il vecchio sistema elettorale, sia con uno nuovo magari proporzionale, la formazione poi del governo metterà alla prova la capacità del presidente di guidare un processo che è facile prevedere non sarà semplice data la scarsa coesione delle alleanze elettorali che si prospettano.
Per tutti questi motivi sarebbe saggio che per l’elezione del presidente si delineasse una larga convergenza tra i partiti che sostengono l’attuale governo e che la scelta cadesse su una persona di grande autorevolezza e capacità.
E veniamo alla questione del governo che, non solo per le ragioni già dette, è di altrettanta delicatezza ed importanza. Come sappiamo, una duplice criticità, quella della crisi COVID e quella della gestione attraverso il PNRR del grande programma di aiuti europeo Next Generation EU, ha concorso ad affidare la guida del governo ad una personalità del prestigio di Mario Draghi. Intornoa questa personalità è stato possibile costituire quella grande coalizione che, in mancanza di una maggioranza meno ampia ma solida, era la condizione necessaria per gestire l’emergenza. Ma se il compito primo del governo era quello di gestire un’emergenza che i partiti da soli non erano in grado di affrontare, questa era anche l’occasione per affrontare di petto alcuni grandiproblemi da tempo insoluti del nostro paese. Anche perché gli aiuti europei sono proprio legati alla realizzazione di riforme in profondità la cui necessità era stata resa più evidente proprio dalla crisi. Per di più una parte importante di tali aiuti è a debito e quindi richiede una qualità della spesa molto alta. Aggiungerei infine che sono all’ordine del giorno nei prossimi mesi scelte importanti che l’Unione europea deve fare in materi di politiche fiscale, estere e di difesa e sarebbe sperabile che il governo italiano desse un contributo importante nell’orientarle.
Ecco che allora la questione del futuro del governo appare altrettanto e forse più cruciale di quella della presidenza della repubblica.
Purtroppo, mentre vediamo gli esponenti dei partiti agitarsi come un formicaio scoperchiato sui “presidenziabili”, impera invece il silenzio sulle questioni di governo (che non siano banali scaramucce su aperture e chiusure COVID) o addirittura le si usano per promuovere una candidatura o l’altra alla presidenza della repubblica.
Proviamo allora a chiederci su quali questioni un partito,seriamente interessato al bene comune, dovrebbe oggi interrogarsi per chiedere un forte impegno di governo in questo fine legislatura e farne poi la proposta per le prossime elezioni.
Mettiamo in fila i punti principali, che meriteranno in altra sede maggior approfondimento, partendo anche da alcune politiche iniziate da questo governo ma non completate e in parte bisognose di correzioni di indirizzo. Al primo punto una politica forte di sostegno (fiscale e sul piano dei servizi) alle famiglie con figli che meritoriamente contribuiscono a contrastare l’inverno demografico e a costruire il futuro del paese. Una politica per una scuola forte, libera e pluralista, vera alleata delle famiglie viene subito dopo. Pieno riconoscimento del ruolo delle scuole non statali, qualità del reclutamento degli insegnati, aumento delle capacità organizzative e delle risorse ne sono elementi essenziali. Poi un chiaro indirizzo della politica sanitaria nella direzione del potenziamento dei servizi di prossimità e politiche del lavoro che favoriscano l’occupazione giovanile e delle donne. Poiché queste politiche necessarie per sovvenire ai bisogni fondamentali delle persone concrete richiedono importanti risorse è necessario che le politiche economiche e fiscali liberino e incoraggino le capacità imprenditoriali e di lavoro al servizio della crescita del paese. Un attento controllo della qualità della spesa che riduca lo spreco e lasci spazio agli investimenti ne è complemento essenziale.
Infine poiché l’Italia non è sola nel mondo ma opera prima di tutto all’interno dell’Unione Europea l’azione di governo deve essere indirizzata a dare un forte contributo ad una saggia revisione del Patto di Stabilità e Crescita e delle politiche di bilancio europee oggi all’ordine del giorno, per non parlare della assoluta necessità che sui fronti critici del Mediterraneo e dell’Europa Orientale l’Unione Europea sia capace di dire una parola unitaria per costruire condizioni di pace giuste e stabili.
Oggi credo sia questo che gli Italiani chiedono e tocca ai partiti rispondere.