DECRETO ENERGIA/ E lo spazio sempre più stretto per aiutare famiglie e imprese
Il Governo ha approvato un decreto per cercare di aiutare le imprese contro il caro bollette. Gli spazi per questi interventi si fanno sempre più stretti.
Un incremento dei costi per le imprese e delle spese per le famiglie di circa 80 miliardi e decine di migliaia di aziende costrette a fermare le produzioni. Sono queste sono le stime dell’impatto dei rincari delle forniture energetiche che circolano negli ambienti delle associazioni degli imprenditori. Ognuna delle quali fa i conti in casa propria: 30 miliardi per le aziende manifatturiere, 9 per i servizi commerciali, altrettanti per le piccole imprese e per i trasporti. Stime che scontano le previsioni più pessimistiche di una durata temporale dei aumenti che le Autorità politiche, e le Banche centrali, continuano a considerare come il frutto provvisorio di una bolla speculativa destinata a esaurire i suoi effetti nei prossimi mesi. Stime che rendono comunque evidente la sproporzione tra il danno potenziale danno provocato dai rincari rispetto alle risorse (3,8 miliardi di euro) messe a disposizione con la Legge di bilancio 2022 per calmierare l’impatto degli aumenti delle bollette per le imprese e per le famiglie.
Nell’impossibilità di sforare i limiti di spesa disposti dal Parlamento in assenza di un’autorizzazione da parte dello stesso, e di un’intesa con la Commissione europea, il Governo ha approvato un decreto d’urgenza che stanzia ulteriori 1,7 miliardi finalizzati a calmierare i costi dell’energia per le imprese e 1,6 miliardi per i ristori alle aziende dei settori penalizzati dalle nuove misure anti-Covid. Utilizzando per lo scopo, oltre alle risorse già disponibili, degli introiti straordinari derivanti dall’introduzione del meccanismo di compensazione dei prezzi dell’energia rinnovabile e dalle future aste per le emissioni di CO2, accogliendo alcune proposte avanzate dal ministro per la Transizione ecologica Cingolani, vagliate dal ministro dello Sviluppo Giorgetti in un recente incontro con le associazioni delle imprese.
In quelle sedi erano stati valutati altri provvedimenti – in particolare: la tassazione degli extraprofitti per le imprese che erogano energia; l’aumento della produzione nazionale di gas e petrolio; la riduzione degli incentivi per le energie alternative – che sono stati per il momento accantonati. La parte più rilevante delle risorse viene destinata al contenimento dei costi dell’energia per le aziende con la fiscalizzazione degli oneri di sistema pagati sulle bollette e per finanziare un provvedimento dedicato alle imprese con elevati costi energetici con la concessione di un credito d’imposta provvisorio pari al 20% delle spese sostenute. La parte dei ristori viene destinata a compensare una parte delle perdite di fatturato delle imprese del turismo, commercio, spettacolo e sport. Per l’utilizzo delle casse integrazioni con la causale Covid per i lavoratori di questi settori, le imprese vengono esentate dal pagamento dei contributi addizionali per i periodi di utilizzo effettivo dei sostegni al reddito.
È opinione comune che il provvedimento adottato dal Governo rappresenti il primo di una serie destinata a sostenere il sistema produttivo di fronte a incertezze superiori alle attese. La Banca d’Italia ha rivisto al ribasso (3,8% rispetto al 4% precedente) le stime della crescita del Pil per il 2022. I nuovi provvedimenti, già richiesti dalle principali forze politiche, rimangono condizionati dall’autorizzazione del Parlamento ad allargare le maglie del deficit di bilancio, dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Nella speranza che questa avvenga in tempi rapidi e che non comporti problemi di continuità per la tenuta della maggioranza parlamentare che sostiene l’ Esecutivo. Ma le novità intervenute nel contesto economico, non solo per le conseguenze della nuova ondata pandemica, dovrebbero essere attentamente ponderate, perché destinate a generare conseguenze strutturali sulle politiche economiche. A partire dal fatto che le conseguenze degli aumenti dei costi per le fonti energetiche e le materie prime non si sono ancora completamente scaricate sui prezzi finali.
Nel giro di qualche mese l’euforia ambientalista, caratterizzata dalla pretesa di ridurre l’utilizzo delle energie fossili con il concorso di supplementi di tassazione, si ritrova a fare i conti con l’esigenza di intervenire nella direzione opposta. Questo non significa abbandonare gli obiettivi di sostenibilità ambientale delle produzioni, ma ponderare in modo più ragionevole, con tempistiche adeguate e con una gamma di strumenti in grado di assicurare la disponibilità di energia a costi accessibili.
La variabile geopolitica ha assunto un peso dominante anche nella fornitura delle materie prime e delle tecnologie. Destinata a influenzare le scelte di politica industriale dei singoli Paesi sviluppati per ridurre i livelli di dipendenza dalle forniture esterne, ripristinando nuove capacità produttive nel proprio territorio o per assicurare gli approvvigionamenti nell’ambito degli accordi internazionali.
Nonostante le rassicurazioni fornite dalla Banca centrale europea, riguardo la volontà di contenere i tassi di interesse, le politiche monetarie espansive dovranno fare i conti con la crescita dell’inflazione e con la conseguente erosione dei risparmi e del potere di acquisto dei salari. I rendimenti sui titoli pubblici sono già in aumento scontando le previsioni negative future.
In qualche modo i Governi nazionali dovranno adottare una sorta di nuova politica dei redditi per calmierare l’impatto degli aumenti, per prevenire una rincorsa tra i salari e prezzi, e per contenere i nuovi costi con gli aumenti della produttività nelle imprese. La scelta è in parte obbligata per evitare il rischio che l’aumento dei tassi di interesse, e le politiche monetarie restrittive, possano comportare una brusca caduta dei livelli di produzione e l’affermarsi di uno scenario della stagnazione combinata con l’inflazione, simile a quello degli anni ’70 dopo lo straordinario aumento dei prezzi del petrolio.
Queste tensioni sono comunque destinate a condizionare la riforma del Patto di stabilità, per il momento solo sospeso, e a complicare la ricerca del consenso dei Paesi aderenti all’Ue sulle proposte avanzate nella lettera firmata da Draghi e Macron, di far convogliare le quote dei debiti pubblici nazionali maturate nel corso della pandemia in un fondo europeo condiviso, e per allungare i tempi di rientro dei debiti pubblici rimanenti.
Queste novità portano a ritenere che le possibilità di ampliare ulteriormente la spesa corrente per sostenere le imprese e le famiglie si stanno ridimensionando, e che di conseguenza i Governi nazionali debbano affrontare la nuova fase selezionando gli interventi in modo rigoroso, sulla base di priorità e di una valutazione rigorosa delle conseguenze sul medio e lungo periodo.