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    La ricca Milano che però non fa figli

    La ricca Milano che però non fa figli
    Nel capoluogo lombardo il tasso di fecondità è al minimo storico di 1,17 figli per donna. Rosina: “Occorrono adeguate politiche che possano rendere la metropoli milanese attrattiva anche per le famiglie, e non solo per chi è in cerca di lavoro”.
    Che fossimo in decrescita demografica è cosa nota, ma i livelli record di denatalità, resi noti dalle ultime statistiche Istat, dimostrano che l’inverno demografico sta diventando un tema sempre più urgente. Nei primi nove mesi del 2021 le nascite sono calate di 12mila e 500 unità rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente e il tasso di fecondità nel 2020 si è abbassato a 1,24 figli per donna, raggiungendo il record negativo di 1,17 nel capoluogo lombardo.
    Un trend allarmante per la metropoli milanese che, se dovesse consolidarsi, avrebbe conseguenze nefaste per la città, portandola ad essere “sempre più vecchia e spenta, meno attrattiva e con disuguaglianze sempre più accentuate”. A lanciare l’allarme è Alessandro Rosina, ordinario di Demografia alla Cattolica di Milano e autore del libro “Crisi demografica. Politiche per un paese che ha smesso di crescere” che, dalle colonne de Il Giorno,sottolinea la necessità di una drastica inversione di tendenza prima che la situazione sfugga di mano. Il fenomeno della denatalità, come aveva già spiegato il professor Rosina in altra occasione, tende infatti a produrre una sorta di circolo vizioso nel quale le già poche nascite del passato si sono tradotte in una popolazione attuale in età da famiglia più contenuta, che a sua volta determinerà una riduzione delle nuove nascite.
    Senza dubbio la tendenza a mettere al mondo sempre meno figli si lega a doppio filo con gli effetti negativi innescati dalla pandemia, dove è soprattutto l’incertezza sul futuro a frenare le scelte e i progetti di vita delle giovani coppie, tuttavia non è l’unico fattore in gioco. L’emergenza sanitaria ha dunque aggravato una situazione già compromessa da problemi più strutturali che influiscono in maniera determinante sul tasso di fecondità. In una città come Milano dove, nonostante l’elevato tasso di occupazione femminile, non si fanno figli è evidente, secondo Rosina, che le politiche di conciliazione dei tempi di lavoro e di quelli di cura della famiglia non sono sufficienti come leva per favorire nuove nascite.
    Ma non è solo la mancanza di servizi adeguati alle esigenze delle giovani famiglie ad impattare negativamente sul tasso di fecondità medio del capoluogo lombardo. Rosina punta il dito anche contro il “caro casa” della metropoli come fattore deterrente alla costruzione di un progetto di vita familiare, che spinge le giovani coppie a scegliere opzioni abitative più accessibili al di fuori di Milano producendo come effetto una città sempre più vuota e priva di nuove energie.
    In mancanza di adeguate politiche che possano rendere la metropoli milanese attrattiva anche per le famiglie, e non solo per chi è in cerca di lavoro, l’orizzonte si presenta fosco per il prossimo decennio. In questo scenario occorre che la politica giochi un ruolo centrale, offrendo gli strumenti necessari ad invertire la tendenza. E se a livello nazionale un aiuto concreto è arrivato con l’introduzione dell’assegno unico, a livello locale occorrono “idee e investimenti” in grado di offrire servizi adeguati alle necessità delle famiglie, sottolinea Rosina, implementando ad esempio il “social housing” e rendendo ancora più solida “l’alleanza tra pubblico, privato e terzo settore”. Gli esiti delle best practices messe in campo in alcune città europee gli danno ragione: a Berlino, nell’ultimo decennio, il tasso di fecondità è salito a 1,5 superando la media nazionale.
    Micol Mulè

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