Mattarella: mancò la fortuna, non il disonore
Gira un meme in queste ore che dimostra come, rispetto a sette giorni fa, non sia cambiato nulla. Mattarella resta Presidente della Repubblica, Draghi Presidente del Consiglio, quel che resta della Casellati presiederà il Senato e Marta Cartabia, con prevedibile dispiacere nostro che la avremmo voluta vedere al Quirinale, Ministro della Giustizia. Se la forma è corretta, la sostanza non lo è. In sette giorni è cambiato tutto. Per vederlo, occorre soffermarsi su cinque personaggi che in questa commedia hanno recitato ruoli centrali.
1. Silvio Berlusconi. Deus ex machina. Prima si sacrifica, per consentire a Salvini di vivere il sogno di leader di centrodestra, poi, atteso che il sogno di Salvini coincideva con l’incubo di una nazione intera, riappare, fa due telefonate e apre al strada al Mattarella bis. Questo, per inciso, è il momento che gli storici indicheranno come la fine del centrodestra italiano. Questa coalizione, nata per dare spazio alla concretezza, ad una visione orientata agli obiettivi e non alle idee, che ha sempre fatto del portare a casa i risultati l’obiettivo, chiude con la mesta considerazione che senza Berlusconi né Salvini né Meloni sanno ottenere nulla. Salvare l’Italia col proprio sacrificio è sempre stato lo slogan del Presidente. E ne è stata anche la firma sull’ultimo grande atto politico.
2. Matteo Salvini: con una mossa a tenaglia ottiene qualcosa che nessuno pensava possibile: il ritiro di Silvio Berlusconi dall’ultima grande battaglia. Come lo ottenga non verrà qui commentato. Ma il problema è cosa se ne fa del risultato portato a casa: si fa fregare a ripetizioni da Conte e Letta con richieste di rose di nomi (prontamente bruciati), con dialoghi surreali (come la proposta di stampo Nicaraguense del capo dei Servizi Segreti traslato al Quirinale) ed infinite perdite di tempo. Alla fine, constatato di aver perso del gran tempo, ripiega sulla salvezza provvidenziale offerta dal Cavaliere. Salvo dichiarare subito dopo che Forza Italia dovrebbe andarsene dal Centrodestra. È chiaro, a questo punto, che il centrodestra come lo conoscevamo non esiste più.
3. Letta e Conte. Un personaggio unico, bifronte, che per otto chiame evita di contarsi e riesce nonostante tutto ad imporsi. Per infinita inferiorità altrui più che per fulgidi meriti propri. Eppure ci riesce e ottiene… già cosa ottiene? Un altro giro di giostra, perché è difficile immaginare che Mattarella faccia un settennato pieno. E al prossimo giro, che succederà? Non è un tema che interessi loro. L’importante è tirare a campare che, non dimentichiamolo, è meglio che tirare le cuoia.
4. Elisabetta Casellati. Spiace, davvero. Era un bel profilo bruciato in un brutto modo. Non ha visto che quello in cui la stava infilando Salvini era un vicolo cieco molto corto su un veicolo molto veloce e senza airbag.
5. Meloni: sulle rovine di un’era è rimasta solo lei, in piedi. Resta ancora da capire se regnare sul deserto sia meglio che collaborare a costruire una metropoli. In caso di risposta positiva non c’è altro vincitore che lei. Ma temo che la risposta sia decisamente negativa. L’opposizione, come intuì in maniera geniale Andreotti, è estremamente logorante.
In definitiva, un Parlamento reduce dal proprio suicidio con la riduzione del numero dei membri di un terzo, ha sancito la propria sostanziale inutilità. Un pessimo spettacolo in cui l’unico, grande, immortale mattatore è stato sacrificato all’inizio del primo atto per resuscitare nel finale. E augurare, un’ultima volta, buonanotte ad un pubblico distratto e impegnato a urlare scompostamente contro la buca dell’orchestra. Drammaticamente, ma anche molto simbolicamente, buia e vuota da inizio spettacolo.
Luca Rampazzo