RISTORAZIONE: QUANDO LA PASSIONE VA OLTRE LA CRISI
Maria Cristina Bellelli, titolare del famoso ristorante di Desenzano del Garda “Caffè Città”, si racconta all’Informatore.
Il settore del turismo rappresenta il 13% del PIL italiano e solo il lago di Garda accoglie ogni anno oltre 25 milioni di turisti da tutto il mondo. La crisi dovuta alla pandemia ha però fortemente pregiudicato il settore, con chiusure che sono piovute in ogni dove, anche in siti turistici che mai avremmo pensato potessero essere toccati. Oggi facciamo il punto con Maria Cristina Bellelli, titolare del famoso locale Caffè Città nel centro storico di Desenzano del Garda.
Maria Cristina, cosa ci racconta del Caffè Città di Desenzano?
Il Caffè Città è un ristorante pizzeria situato nel cuore di Desenzano, nella centralissimo Piazza Malvezzi. Sono ormai molti anni che con i miei fratelli abbiamo aperto questo locale, uniti in un progetto che è diventato da subito la mia vita. Quello della ristorazione è un settore che ho sempre amato sin da bambina, e oggi dedico praticamente tutto il mio tempo e le mie energie al locale. Non esistono vacanze, weekend o feste; per fare bene questo lavoro bisogna crederci e avere passione. Solo così si raggiungono i risultati.
Quali sono i vostri punti di forza?
I clienti hanno capito sin da subito che la nostra filosofia si basa su due pilastri: la qualità dei piatti, rapportata ad un prezzo accessibile a tutti, e la familiarità con cui lavoriamo. Vogliamo far sentire ogni cliente a casa, e il fatto che le persone tornano sempre quando passano per Desenzano, è la riprova che stiamo centrando l’obiettivo. Il nostro target va dalle famiglie, alle coppie, ai ragazzi, e proponiamo piatti di ogni genere, anche se siamo prevalentemente specializzati sul pesce. E anche grazie alla nostra posizione abbiamo avuto importanti clienti, personaggi del mondo dello spettacolo, dell’imprenditoria e dello sport. Il lago di Garda è una meta gettonata da tutto il mondo, e proprio per questo abbiamo lavoriamo con tanti clienti esteri, il che rappresenta una grande fortuna. Ma detto ciò, teniamo a tutelare prodotti di nostra produzione e prodotti tipici della cultura e della tradizione italiana.
Il settore turistico è stato messo in ginocchio dalla pandemia. Come avete affrontato i mesi più duri?
Abbiamo resistito a una situazione orribile. È vero: siamo stati il settore più toccato, ed è stato un incubo. Ma ce l’abbiamo fatta e stiamo superando le difficoltà grazie prevalentemente alle nostre forze. Nulla ci è stato regalato. Quando è scoppiata la pandemia abbiamo deciso di chiudere giusto un paio di giorni prima del lockdown perché volevamo dare il nostro contributo nell’evitare la diffusione del virus. Poi non si pensava che durasse così tanto. Non capivamo più cosa stesse succedendo.
Un’iniziativa di cui vado fiera è legata alla scelta di mettere a disposizione, durante il primo periodo di chiusura, tutte le nostre scorte di cibo per chi ne avesse bisogno. I supermercati erano presi d’assalto e gli scaffali si trovavano spesso vuoti, così abbiamo allestito un punto di distribuzione di beni di prima necessità proprio nel nostro plateatico.
Come siete stati danneggiati dalla pandemia?
Abbiamo avuto grossissime perdite nei mesi del lockdown, e con le riaperture siamo stati obbligati a ridurre drasticamente i posti a sedere. È un grave danno per come eravamo abituati. Ma detto ciò siamo stati sempre molto rispettosi delle norme anti covid, sia per quanto riguarda il rispetto delle distanze che per quanto concerne i numeri degli ospiti seduti ai tavoli, proprio perché l’obiettivo primario restava e resta quello di sconfiggere un nemico silenzioso come questo virus, ed è giusto che tutti facciano la propria parte. Per superare le difficoltà abbiamo fatto solo una cosa: ci siamo rimboccati le maniche.
Ti aspettavi maggior sostegno e vicinanza da parte delle istituzioni?
Sinceramente sì. Gli imprenditori hanno dovuto fare da soli. E parliamoci chiaro, tanti hanno chiuso. Se soffrono piazze importanti come la nostra non oso immaginare in altri posti quali situazioni abbiano dovuto vivere i miei colleghi. Il nostro settore turistico e della ristorazione è stato annientato, qui ha vinto il più forte. Siamo stati abbandonati a noi stessi, al nostro destino, dimenticando tra l’altro che il nostro settore genera un indotto di lavoro – tra personale, fornitori, ecc. – unico nel suo genere. Come ho detto, l’unica soluzione è stata quella di rimboccarci le maniche, nonostante i mancati incassi e nonostante i costi fossero rimasti gli stessi.
Come va il rapporto col personale?
Facciamo veramente fatica a trovare personale. Avevamo bisogno di nuove leve ma non si riuscivano a trovare. Ho posto un cartello fuori dal locale, in una piazza che vedemigliaia di persone ogni giorno, ma nessuno rispondeva. Il lavoro c’è ma il personale non si trova. Perché? Questa domanda se la stanno facendo tutti i ristoratori e gli albergatori. Personalmente credo che una grossa colpa ce l’abbiano le politiche legate al reddito di cittadinanza, perché questo ha pesantemente compromesso noi ristoratori nella ricerca del personale. È giusto aiutare chi haveramente bisogno, ma non è questo il modo.
A causa della crisi avete mai pensato di dover chiudere definitivamente?
Quando è scoppiata la pandemia ero più preoccupata per la salute, nostra e di tutti, dato che non sapevamo a cosa stessimo andando in contro. Penso infatti che la salute sia il bene primario, ma una volta superati i primi mesi si iniziava a guardare al cassetto. Nonostante le chiusure e le varie difficoltà a cui stavamo andando in contro, mi continuavo a ripetere che costi quel che costi, finché vivrò questo locale ci sarà. Non sono una persona perdente. Non avrei mai permesso la chiusura di questo locale.
Grazie.
Andrea Valsecchi