La comunità internazionale e il “governo della pace”
Flavio Felice
Il conflitto che da anni interessa il confine orientale dell’Ucraina e che da tre settimane è sfociato in una criminale guerra di aggressione da parte dell’esercito russo, provocando la coraggiosa e disperata resistenza del popolo ucraino, ci interroga sul “governo della pace”. Per governo della pace intendiamo l’azione politica, economica e culturale, posta in essere da tutti gli attori civili, i quali, operando nel nome del diritto, orientano la forza esercitata dai soggetti politici nella direzione di un potere limitato, in quanto dipendente da altri poteri. È questa la situazione in cui, all’anarchia internazionale si sostituisce la cosiddetta cooperazione strutturata che tende a superare l’ordine internazionalefondato sul ruolo dello Stato nazionale e su rapporti intergovernativi, a favore di un processo in cui si assistealla disarticolazione per funzioni della sovranità; in breve, secondo il modello monnettiano, si tratta diun’azione imperniata su un punto limitato, ma ritenutodecisivo, in grado di provocare un cambiamento che,gradualmente, contribuisce a modificare l’insieme dei problemi. Questa logica costituente gradualista, afferma Dario Velo in Quale Europa (Cacucci, 2018), ha consentito la nascita dell’Euratom, della C.E.E., dell’Unione Monetaria Europea e di una serie di progressi intermedi.
Se consideriamo che la comunità internazionale deve la sua esistenza allo sviluppo dei rapporti tra i diversi popoli, dalle forme politiche più semplici a quelle più articolate e complesse, si comprende come tale comunità, al pari di qualsiasi altra forma umana, risponda alle medesime logiche e, in primis, alla dimensione sociale delle persone. Tale considerazione ci consente di porre l’accento sul dato colturale intorno al quale si sviluppano le comunità internazionali, oltre a permetterci di comprendere come ciascuna comunità internazionale, nel riconoscimento del più profondopluralismo, intercetti alcuni principi e valori fondativi che fanno di una comunità internazionale un “centro di civiltà”; per citare un’espressione di Luigi Sturzo in La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928).
Pur evidenziando la complessità del livello internazionale, la comunità sovranazionale non è una realtà a sé stante, un quid tertium irrisolvibile all’azione individuale. Al contrario, al pari di qualsiasi altra comunità umana, anche la comunità internazionale èrisolvibile nelle persone che la rendono possibile,riconoscendo il ruolo centrale dell’azione umana che produce effetti prossimi, che possiamo facilmente controllare ed eventualmente correggere senza particolari problemi, ed effetti remoti, ovvero nonintenzionali, sui quali è drammaticamente difficile intervenire. Sono questi gli effetti che danno vita anchealle istituzioni, comprese le autorità potestative che in epoca moderna hanno preso il nome di Stati; questi ultimi proiettano la forza degli attori che in essi operano, mostrando un potere assoluto, in quanto sovrano, e, in casi estremi, sciolti dallo stesso diritto che producono e al quale dovrebbero essere assoggettati: “Salus rei publicae suprema lex esto”.
Potere, diritto e forza sono le tre voci nelle quali si declina la vita stessa delle istituzioni, inclusa lacomunità internazionale; in breve, il potere può esprimersi con il diritto o con la forza, ovvero con unaloro composizione. Sappiamo che la forza può essere utilizzata per far osservare le leggi, ma anche per difendere il potere e che si esprime a tutti i livelli, daquello più prossimo agli interessi individuali a quello,solo apparentemente più distante, della comunità internazionale.
Le differenti forme politiche sono il prodotto di tali voci, il loro comporsi e scomporsi, ampliarsi e restringersi; a patire da tali voci si comprende la loro sete imperialistica ovvero il rispetto dell’autonomia altrui. In definitiva, dipenderà dal modo in cui potere, forza e diritto opereranno nel concreto, il fatto che una civiltà di popoli diventi una minaccia per altre civiltà e altri popoli. Non importa il nome che tale potere assumerà, se sarà il potere di un re, di un parlamento, di un papa, di un califfo o di uno tzar e nemmeno l’aspetto formale che assumerà il diritto, la dimensione egemonica del potere e il suo essere guerrafondaio dipenderannosempre e soltanto dal modo in cui questi tre lemmisaranno declinati.
Ecco, dunque, che il “governo della pace” dipenderà,in buona sostanza, dal grado di consapevolezza che ciascuna civiltà avrà maturato dei propri principi e valori fondativi, dal potenziale distruttivo che può assumere la miscela esplosiva potere-forza-diritto, nonché dalla capacità di dar vita ad istituzioni in cui l’elemento del diritto abbia la meglio su quello della forza, sul fatto che la comunità internazionale possa poggiare sul primo, piuttosto che sul secondo, ed è la ragione per cui Sturzo afferma che gli Stati saranno tanto più stabili, «quanto il potere statale si sarà disimpegnato dall’uso della forza nel maggiore rispetto del diritto».
A questo punto, il “governo della pace” richiede che la totalità del potere non passi per lo Stato o per qualsiasi istituzione che rivendichi per sé il monopolio della forzae di essere l’unica fonte del diritto. Il fatto che lo Stato abbia monopolizzato il potere, ovvero che tendacomunque a farlo, assorbendo le forme sociali presenti all’interno della società civile, si comprende a partire daun’idea di egemonia dello Stato sulla società civile, di supremazia della politica sulle altre forme sociali e fonda una nozione di comunità internazionale al centro della quale operano Stati sovrani, incapaci di concepire relazioni di interdipendenza, e portati a far valere la lorosovranità ai danni di chiunque non riconosca o semplicemente minacci la relativa pretesa egemonica.
Appare evidente che il “governo della pace” necessiti di un deciso ripensamento della nozione di sovranità e il riconoscimento che il potere, affinché sia legittimo, è opportuno che sia distribuito, affinché nessuno possarappresentare una minaccia per gli altri. Se è vero che lastoria ci insegna come tale distribuzione del potere sia stata possibile all’interno della comunità nazionale, è giunto il momento di porci seriamente il problema di come implementare un simile elementare assioma della teoria politica: il potere è limitato da un contropotere, anche a livello sovranazionale.
A questo proposito, andrebbe sgomberato il campo da un errore fatale: considerare il presente come il terminaledella storia. Affinché si possa immaginare un “governo della pace” che non si riduca alla gestione ordinaria delle fasi di non belligeranza: il “governo dei conflitti”, cercando di accontentare ora la pretesa egemonica dell’uno ora quella dell’altro, bisognerebbe evitare «di fissare lo Stato moderno come colonne d’Ercoledell’organizzazione politica». Con queste parole, Sturzo ci dice che ogni giorno possiamo giocare una partita inedita, muovendoci sul campo della cultura, dell’economia e del diritto, per il superamento degli ostacoli politici, economici e culturali, che separano un ordine politico fondato sulla forza da uno più evoluto in cui le coscienze individuali, interagendo, possano produrre, anche per via irriflessa, una comunità internazionale che renda impossibile il ricorso alla guerra.