EFFETTO GUERRA, IL RITORNO ALL’OLIO DI PALMA
La guerra in Ucraina ed i conseguenti rincari avranno conseguenze anche sull’industria alimentare: l’utilizzo dell’olio di palma crescerà del 20% a partire dal 2023
Sono passati sette anni da quando l’olio di palma è stato via via smantellato dalla catena di produzione alimentare, almeno in Italia, viste le campagne contro il suo utilizzo per la prevenzione della deforestazione del Borneo e di altre aree verdi del pianeta. Dal 2015 la domanda di olio di palma è infatti calata del 33%, con 200mila tonnellate in meno all’anno e l’impiego di altri oli di semi come quello di colza, soia e girasole. Ma detto ciò, oggi, complice ancora una volta il conflitto tra Russia e Ucraina, il passo indietro sarà inevitabile. Non solo stangate su bollette e carburanti: le previsioni dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, infatti, hanno riferito che dal 2023 avremo impatti anche sull’industria alimentare nostrana, con un impiego maggiore del 20% del prodotto, a causa dei rincari delle materie prime e le difficoltà nell’importazione. Con il 60% della produzione e il 75% dell’export, l’Ucraina è infatti il principale Paese coltivatore di girasoli al mondo, e l’Italia dipende da Kiev per oltre il 60% delle importazioni di olio grezzo.
Non è però un prodotto da demonizzare. Mauro Fontana, presidente dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, ha ricordato che il 95% dell’olio di palma utilizzato dall’Italia sia certificato come sostenibile, e proprio per questo i dati non devono spaventare: “Siamo una best practice mondiale”, ha sottolineato, “quello che arriva nel nostro Paese proviene soprattutto da Malaysia e Indonesia, anche se c’è una quota importante di prodotto sudamericano”. L’olio di palma utilizzato, infatti, pur rappresentando ben il 35% delle produzioni di grassi vegetali destinati all’alimentazione, impiega solo il 10% di tutti i terreni utilizzati per coltivare oli, e“le proiezioni della Fao dicono che entro il 2050, per garantire sufficiente cibo per tutta la popolazione mondiale, la produzione di oli dovrà incrementare dell’85%, passando da 165 a 307 milioni di tonnellate. In questo contesto la produzione di palma, purché sostenibile, avrà un ruolo strategico, visto che garantisce una resa all’ettaro di 4-8 volte maggiore”. Accorgimenti, quindi, in favore di sostenibilità e risposta al fabbisogno, con anche una serie di altri vantaggi da non sottovalutare: “ha un gusto neutro, che ben si adatta alle produzioni dolci, poi, rispetto a quello di colza, è più facile da reperire: i francesi sono grandi produttori di colza ma se la tengono quasi tutta per sé mentre il Canada, che è il più grande esportatore mondiale, ha avuto una stagione pessima e ne ha prodotto molto meno. Quanto all’olio di soia, invece, la maggior parte arriva da Sudamerica ed è Ogm”.
Stante la crisi delle materie prime, le prime conseguenze sul piano dell’approvvigionamento non sono tardate ad arrivare: “Come Unione italiana dell’olio di palma sostenibile” racconta Fontana “abbiamo appena partecipato a Marca, la fiera del private label, dove abbiamo ricevuto parecchie richieste di informazioni. Abbiamo anche segnali di passaggi già avvenuti: il mondo della frittura è stato il primo a guardare all’olio di palma, sia tra i produttori industriali di fritti sia tra le catene di fast food. Io mi aspetto che, nei prossimi mesi, vada a scemare l’appeal dello slogan ‘senza olio di palma’ e che molte aziende, sia piccole che grandi, ritornino parzialmente sui loro passi, affiancando alle linee di prodotti ‘senza’ altre che nuovamente utilizzano questo tipo di olio”.
Rilevante è poi il tema del prezzo dell’olio di palma, più competitivo rispetto ai diretti concorrenti: “È vero che un cambiamento così repentino della domanda indotto dalla crisi ucraina ne ha fatto aumentare le quotazioni” ha dichiarato Fontana, “ma resta comunque più economico, in media, del 20-30% rispetto a quello di girasole”. E sebbene dall’Ucraina facciano sapere che la semina di girasoli non è totalmente compromessa (anche se è facile pensare che subirà drastici rallentamenti ancora per molto), l’Argentina ha aumentato la produzione per sopperire alle carenze, ma gli effetti non si vedranno prima della prossima primavera.
Giacomo Zanetti