Ucraina, tra bombe e diplomazie
È iniziato ufficialmente il quarto mese dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Quella che doveva essere un blitz di qualche giorno sta trasformandosi ogni giorno che passa in una palude che sta imbrigliando qualsiasi tentativo, sia militare che diplomatico, che possa portare a una rapida conclusione del conflitto.
La confusione e la disinformazione sono forse in parte volute, molto probabilmente mettono in evidenza la stanchezza, soprattutto da parte russa, di un prolungamento non previsto e a cui gli stessi invasori sono impreparati.
Un esempio lampante di questa dissociazione interna alla catena di comando del Cremlino riguarda il feed back sulla proposta italiana che in questi giorni sta provando a riprendere la scena come mediatore internazionale.
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Medvedev aveva appena finito di bocciare la proposta avanzata dal nostro Governo come “un puro flusso di coscienza slegato dalla realtà” ed elaborato basandosi sulle menzogne di Kiev, quando dal Cremlino un comunicato ufficiale smentiva il proprio dirigente con un altro comunicato con il quale si affermava che il progetto italiano non era ancora stato ben analizzato e, dunque, non si esprimeva ancora alcun parere.
I combattimenti sono ormai concentrati nella regione del Donbass, dove la violenza dei raid prosegue incessantemente 24 ore su 24.
Intanto, a Kiev la linea metropolitana ha ripreso a viaggiare, mentre a Odessa si sono terminati i lavori di sminamento di chilometri di costa ad opera degli artificieri specializzati.
Dopo la caduta di Mariupol il capo dei separatisti filorussi di Donetsk, Denis Pushilin ha annunciato che il processo agli uomini della brigata Azov arresisi dopo tre mesi di resistenza dentro le acciaierie Azovstal sarà reso pubblico in tutte le sue fasi che ad oggi però sono ancora del tutto indefinite.
L’embargo sull’acquisto di petrolio russo da parte dei paesi UE perde ogni giorno che passa la speranza di essere attuato, complice il disallineamento di alcuni paesi, come l’Ungheria, che privilegiano mantenere un livello di protezione dei propri equilibri interni piuttosto che rischiare contraccolpi economici legati alle sanzioni. Dopo settimane in cui l’Europa sembrava aver dato segnali di compattezza, si ritorna alla triste realtà che mostra ancora una volta il fallimento di un soggetto compatto in grado di legittimare un proprio ruolo indipendente all’interno dell’alleanza atlantica.
Ma l’attualità del conflitto sta mettendo in scena nuovi risvolti, come la lotta per il grano ucraino, letteralmente saccheggiato dai militari russi nei depositi del porto di Sebastopoli in Crimea.
Il fattore degli approvvigionamenti alimentari che il granaio d’Europa garantiva fino all’inizio dell’invasione russa, oggi rappresenta un’arma molto potente di cui Putin è ben consapevole. Il rischio carestia, oltre alla lievitazione dei prezzi, è una realtà che può avverarsi con sempre maggior probabilità qualora il conflitto dovesse durare altri mesi. Non a caso, anche da parte di esponenti politici italiani, come il Ministro Patuanelli, si evidenzia la necessità che sull’emergenza alimentare il G7 si coordini per organizzare una risposta concreta e comune, unica possibilità di scongiurare crisi alimentari in vaste zone di Asia, Africa e America del Sud.
Ogni giorno che passa la guerra mostra sempre nuovi scenari e nuove minacce che, come in una partita a scacchi, rappresentano un problema ora per gli aggressori, ora per gli aggrediti e i loro alleati.
Impossibile stimare quanto possa ancora durare questa situazione e quanto sia sostenibile; probabilmente sia Putin che Zelinsky stanno giocando a vedere chi si sfiancherà per primo, entrambi decisi a non mollare di un millimetro.
Potrebbero volerci mesi, ma a quale prezzo poi qualcuno potrebbe gridare alla vittoria?
Pietro Broccanello