Pensioni, la UE boccia anche Draghi
Il tempo si fa breve anche per l’attuale compagine di governo che tra i principali obiettivi di mandato aveva messo in agenda la riforma del sistema pensionistico. Mancano poco più di quattro mesi alla scadenza legata alla prossima legge di bilancio, termine perentorio per Draghi e la sua maggioranza entro il quale deve essere riscritta la manovra che dovrà dare forma e sostenibilità al sistema previdenziale del Paese e garantire all’Inps la copertura per il nuovo contingente di italiani che sta per raggiungere la fine del proprio periodo lavorativo.
La doccia fredda arriva dalle parole di Tricarico, Presidente Inps in carica, che si dice scettico rispetto alla riuscita di portare a termine le nuove misure entro la fine della legislatura corrente.
La fibrillazione suscitata dalle parole dei vertici dell’istituto previdenziale ha scatenato in primis sindacati e Lega che vogliono mettere la fine all’era Fornero e garantire regole e tempi certi per i prossimi anni.
Ma il tavolo tecnico che doveva partorire le nuove regole pensionistiche non ha ancora prodotto alcun risultato e le ipotesi in esame sono ferme ormai da diversi mesi.
Nonostante l’insistenza dei sindacati di riaggiornare i lavori del tavolo, fermi dal mese di febbraio, e la proposta della Lega che invoca “Quota 41”, la vera doccia fredda arriva dall’Unione Europea che ha pesantemente bocciato le proposte attualmente in campo a causa della non sostenibilità dell’impianto presentato a Bruxelles dai nostri emissari.
Tra le raccomandazioni salienti, la UE lancia un monito che suona come un campanello d’allarme legato alla crisi demografica e all’innalzamento della spesa previdenziale che risulta sbilanciata rispetto alla capacità “produttiva” delle generazioni che verranno. Troppi anziani e pochi figli, questa la sintesi.
La Commissione europea, infatti, ha evidenziato nel Country Report sull’Italia che la spesa per le pensioni è destinata ad aumentare proprio a causa del trend negativo demografico del nostro Paese, aggravato dalle ripetute deroghe alla legge Fornero degli ultimi anni, a cominciare da quota 100. Ma anche Opzione donna e prepensionamenti risultano, secondo le stime di Bruxelles, troppo vulnerabili.
La necessità di trovare rapidamente una soluzione praticabile è legata alla scadenza dell’attuale Quota 102 che scadrà a fine anno. Ma la crisi pandemica e gli eventi bellici in Ucraina hanno modificato l’agenda del Governo lasciando per ora i tavoli di confronto su un binario morto.
Le richieste principali avanzate dai sindacati confederati vertono su tre nodi cruciali: la “copertura pensionistica” dei giovani con carriere discontinue; ulteriori agevolazioni previdenziali per le lavoratrici; una nuova fase di “silenzio-assenso” per destinare il Tfr ai fondi pensione e rilanciare così la previdenza integrativa.
Ad essi si aggiunge un ulteriore fondamentale e divisivo punto legato alla flessibilità in uscita.
Il Governo ha sempre sostenuto l’ipotesi di legare i criteri di calcolo alla quota contributiva, fondamentale per non innalzare la spesa, ma lo stop imposto dagli eventi di questi mesi ha per il momento lasciato il discorso senza un punto di approdo.
L’ipotesi, sostenuta fortemente dall’Inps, prevede la possibilità di favorire l’uscita dal mondo del lavoro al raggiungimento dei 63-64 anni di età, versando ai neo pensionati solo la parte contributiva della pensione che verrebbe integrata con l’elemento retributivo al compimento dei 67 anni di età.
Ma proprio su questa ipotesi si è aperto il contenzioso con i sindacati che vorrebbero avviare l’esodo dal lavoro a 62 anni o al compimento di 41 anni lavorativi, ipotesi sostenuta anche dalla Lega che da tempo ha lanciato l’anatema contro la Legge fornero e che vedrebbe di buon grado l’uscita anticipata, seppur con un assegno inizialmente inferiore a quello maturato, anche per consentire un più rapido ricambio generazionale e aprire opportunità di lavoro per le giovani generazioni.
Ma la crisi demografica opera su tempi diversi da quelli della politica e le analisi devono garantire la sostenibilità a lungo termine, nell’ottica di un patto generazionale che però necessita di nuova forza lavoro numericamente adeguata a garantire la copertura di spesa per coloro che hanno terminato il loro periodo di attività.
Non sarà facile per Draghi trovare un punto di sintesi, né potranno cantare vittoria sindacati e mondo politico per una soluzione che, qualunque essa sia, parte dal presupposto che la coperta comunque sarà corta.
Troppo facile concludere che se avessimo introdotto un sistema virtuoso diversi anni fa, come ad esempio propose l’allora ministro Maroni con il famoso “scalone”, oggi cominceremmo a beneficiarne tutti; ma si sa, il tema pensioni è un campo minato che in chiave elettorale nessuno vuole davvero attraversare.
Pietro Broccanello