domenica, Novembre 24, 2024
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    Europa: la sfida della maturità

    Europa: la sfida della maturità
    A un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, in una situazione nella quale le prospettive
    di pace sembrano veramente esigue e la guerra destinata a continuare per molti mesi se non di
    più, non può mancare una riflessione seria sull’Unione Europea e il suo ruolo in questa vicenda. La
    chiamerei la sfida della maturità. Che cosa vuol dire per gli individui essere maturi è abbastanza
    chiaro: vuol dire aprire gli occhi sulla realtà e fare i conti con essa, trasformare i sogni in progetti
    concreti (con tutta la fatica che questo comporta), vuol dire anche non dipendere più dai genitori
    pur mantenendo una relazione forte con essi. Questi concetti possono facilmente essere trasposti
    anche a livello macro: in questo caso all’Unione Europea e alla sua politica.
    Aprire gli occhi sulla realtà: se non si chiudono gli occhi è abbastanza chiaro che la realtà nella
    quale è immersa oggi l’Unione Europea non è bella ed è densa di insidie. La durissima realtà della
    guerra di Putin all’Ucraina, gli enormi interrogativi che comporta l’ascesa della Cina allo status di
    grande potenza mondiale, il disordine che regna nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, solo per
    parlare dei problemi che ci toccano più da vicino, non possono essere cacciati sotto il tappeto.
    In primo luogo è abbastanza chiaro che la guerra, che certo non era mai sparita dall’orizzonte
    mondiale, ma che di fatto poteva essere archiviata dall’Unione come un qualcosa che non
    chiedeva risposte serie, se non qualche appello, magari un po’ di aiuti materiali e qualche poco
    convinta azione diplomatica, è oggi saldamente ai nostri confini e non può essere ignorata.
    Questa per la UE è una grande novità e una sfida non da poco! Come è ben noto il processo di
    integrazione europea, dopo il fallimento nel 1954 del tentativo di creare la Comunità Europea di
    difesa (la CED), ha lasciato ai margini le politiche estera e di sicurezza, dotandole di strumenti
    istituzionali deboli e alla mercè del principio di unanimità, mentre le politiche di mercato e poi
    anche monetarie procedevano con ben altra velocità e vigore.
    Le ragioni sono abbastanza semplici: da un lato gli stati membri dell’Unione (e in particolare la
    Francia, potenza nucleare, con un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite) erano (e
    restano) restii a cedere terreno in un campo che sembra il simbolo della sovranità nazionale,
    dall’altro di fronte alla grande potenza militare (sia convenzionale che nucleare) dell’Unione
    Sovietica gli stati europei avevano trovato più conveniente affidarsi alla potenza dissuasiva degli
    Stati Uniti e integrarsi con questa nella Nato. Questa scelta dava maggiori garanzie sul piano della
    sicurezza e contemporaneamente consentiva ai paesi europei di risparmiare sulla spesa militare e
    riservare maggiori risorse allo stato sociale (welfare not warfare!). La fine dell’Unione Sovietica e
    quindi della più grave minaccia militare non ha certo stimolato l’Unione Europea a portare
    correzioni ad una linea di sviluppo ormai consolidata e sotto molti profili di notevole successo.
    Sono professore emerito di scienza politica nell’università di Siena. Le
    mie ricerche si sono concentrate sullo studio delle élites politiche,
    delle istituzioni di governo e del sistema politico dell’Unione Europea.
    Sto scrivendo il libro “EU in turbulent times”.
    Che cosa è la Lettera mensile? Molto semplicemente lo sguardo,
    sperabilmente abbastanza oggettivo, di un osservatore su realtà politiche che gli
    pare debbano essere seguite con attenzione. Buona lettura!
    Va notato però che i paesi dell’Europa centro-orientale, liberatisi nel 1989 da occupazione e
    controllo sovietici se da un lato hanno voluto aderire alla Unione europea, sono stati altrettanto e
    forse ancor di più interessati alla Nato (in effetti Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria entreranno
    già nel 1999 nella Nato, ma solo nel 2004 nella UE). La domanda di sicurezza era per loro la
    priorità. Su questo divario l’UE avrebbe da un po’ dovuto riflettere con più attenzione.
    La guerra in Ucraina con la sua brutalità ha ora messo in luce alcuni importanti dati di realtà: 1. Un
    assetto pacifico solido per l’Europa che comprenda anche la Russia non si è realizzato negli anni
    passati e le sue prospettive future sono oggi difficilmente immaginabili; 2. L’azione a due FranciaGermania per disinnescare dopo il 2014 le tensioni per il Donbass (vedi accordi di Minsk) si è
    rivelata del tutto insufficiente, e il cosiddetto “motore franco-tedesco” della UE è largamente
    insufficiente per le sfide odierne della sicurezza; 3. gli Stati Uniti restano al momento l’unico
    soggetto capace di guidare l’azione europea (che è pure complessivamente importante, ma non in
    grado di dare la direzione) di fronte all’aggressione russa; 4. In questo contesto la Polonia e i paesi
    baltici di frontiera con le loro pressanti esigenze di sicurezza hanno acquisito un ruolo di più alto
    profilo nell’Unione.
    Questi dati di realtà non possono essere trascurati quando si prefigura il futuro e dai sogni si deve
    passare a progetti concreti per l’oggi e per il domani. Negli anni passati l’Unione vedeva il suo
    ruolo nel mondo come quello di una “potenza civile” la cui influenza sarebbe stata legata alla sua
    potenza economica e alla qualità (da esportare) del proprio modello democratico e sociale. Non si
    devono certo gettare al macero gli indubbi pregi di questo modello. Ma va riconosciuto che se non
    si vuole dipendere unicamente da potenze esterne (i cui interessi anche nel caso più benevolo non
    sempre coincidono e coincideranno con i nostri) la potenza civile deve essere affiancata da una
    capacità di politica estera adeguata ad un mondo non solo pacifico e su questa base organizzare
    anche una capacità di difesa. Il necessario realismo dice che questo non è certo un processo facile
    e richiede pazienza e determinazione. Come per altri aspetti del processo di integrazione è
    necessario avere ambizioni realistiche e ragionare strategicamente. Il che vuol dire che ci si dovrà
    concentrare su quelle aree della politica estera e di sicurezza dove più chiaramente si è
    manifestata l’inadeguatezza del ruolo degli stati nazionali e la utilità per tutti di una azione
    comune. In secondo luogo bisogna rafforzare la base istituzionale di questa azione per darle
    gambe più veloci ed efficaci.
    La maturità significa anche stabilire un rapporto meno sbilanciato con chi ci ha sinora protetto.
    Qui ovviamente è in gioco la delicata questione del rapporto con gli Stati Uniti. La condivisione di
    importanti valori con il grande paese atlantico non deve nascondere la differenza di priorità, di
    prospettive, di interessi che si manifestano con una frequenza non trascurabile. Non è certo un
    rapporto che l’Europa possa e voglia interrompere, ma può essere positivamente riequilibrato
    nella misura in cui l’Unione sviluppi una capacità maggiore di articolare una visione unitaria della
    propria politica estera e di sicurezza. Una vera partnership nella quale le istanze europee possono
    essere seriamente avanzate e fatte valere è un obiettivo per il quale si deve lavorare.
    Maurizio Cotta

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