Anche le banche saltano. Storia di una catena di fallimenti annunciati
E se pure le banche cominciano a cadere, forse qualcosa davvero sta andando storto. In due giorni, due istituzioni finanziarie americane, Silverbank e Silicon Valley Bank, hanno portato i libri in tribunale. Ieri seguite da Signature Bank, che ha avuto problemi così simili a Silverbank che nel’analisi ci fermeremo solo sula prima O meglio, nel caso della seconda, sono stati portati in una istituzione di garanzia per gestire la chiusura della medesima. Facciamo un po’ di ordine nei fatti.
Silverbank era una piccola banca (circa 6 miliardi di valore) che serviva soprattutto il mercato delle criptovalute. Alla faccia della valuta digitale che avrebbe scalzato il dollaro. In sostanza, siccome il digitale è bello, ma i dollari servono, serviva un punto di contatto tra realtà e digitale. Le altre banche tendevano a fare troppe domande su provenienza, uso e natura delle operazioni. Così, Silverbank, una piccola realtà che curava soprattutto immobiliare, ha deciso di mettersi al servizio dei minatori digitali. Anche perché non dava interessi sui conti, quindi, di fatto, anche solo comprando titoli del tesoro avrebbe ricavato un margine a fronte di zero spese. Siccome, però, si parlava di cifre ridicole, la Banca ha deciso di cominciare a prestare anche a società che operavano nel settore. Tipo FTX (l’exchange di Samuel Bankman-Fried, saltato a causa di una gestione sopra le righe). Questo ha legato mani e piedi il carro della banca a un settore che, all’aumentare dei tassi, è crollato.
Silicon Valley Bank, invece, ha una storia più classica. La maggior parte dei suoi asset era in obbligazioni del tesoro. Che, comprate con tassi bassi (quindi valore del bond alto), ha iniziato a svalutarsi pesantemente all’aumentare dei tassi. La scarsa diversificazione ha fatto il resto. Questo ha portato ad una corsa al ritiro e alla bancarotta di fatto, se non di diritto.
Come i più attenti tra voi avranno colto, c’è un filo rosso che unisce le due versioni. Con tassi molto bassi, quando non direttamente negativi, le persone tendono ad investire in cose molto rischiose. Come il Bitcoin. Questo genera bolle che, scoppiando, fanno danni enormi. E non c’entrano assolutamente nulla col libero mercato, che i tassi delle Banche Centrali li influenza solo in teoria. Finora lo scoppio delle bolle, da almeno una trentina d’anni malcontati, è stato gestito stampando altro denaro. Purtroppo stavolta ci troviamo in un periodo di iperinflazione, dovuto, tra le altre cause, allo stampa-che-ti-passa con cui avevamo cercato di tamponare la crisi del Covid. Questo ha obbligato ad alzare i tassi, facendo saltare anche chi aveva scelto l’opzione “sicura”.
Quindi, come si può ampiamente vedere, stampare denaro sposta solo il problema dalla vetta alla valle. Forse lo rallenta, è vero. Ma di sicuro lo ingrandisce quando arriva a destinazione. SVB non è una piccola banca, come Silvergate. Serve le Start Up Californiane, che non sono precisamente il mercato immobiliare dell’Alaska. Le principali banche Americane potrebbero averci perso 50 miliardi in quel crollo. E soprattutto questo fa sorgere due domande: quanti altri titoli obbligazionari sono bloccati perché in picchiata come valore? E cosa succederà quando alla fine del mese i tassi aumenteranno di 50 punti base?
Chiariamolo subito: non è il 2008. Non è coinvolto il mercato immobiliare USA (ma su quello Cinese potremmo discutere a lungo). Il credit crunch è meno probabile. Ma è tutto meno che impossibile. Dopotutto il credit cruch è precisamente l’obiettivo del rialzo dei tassi. Quindi la situazione, al momento, è quella dell’acrobata sulla fune. Non è ancora caduto. Ma la differenza tra completare il percorso a dieci metri o a terra è molto più piccola di quanto si possa credere. Infatti Biden ha immediatamente proceduto a garantire TUTTI i depositi di SVB, ad aprire una linea di liquidità per le banche in crisi di denaro cash e altre misure potrebbero arrivare. Intanto il contagio ha preso l’Europa, perché il fondamentale (una salita troppo rapida dei tassi che sta minando le banche) è identico sulle due sponde dell’oceano.
Sullo sfondo, per le imprese, c’è il doppio pericolo della recessione indotta dalla riduzione del denaro circolante e il costo crescente dell’accesso al credito. Che, attenzione, è improbabile si riduca come nel 2011: la storia di Silicon Valley Bank dimostra che, stavolta, non c’è un esci gratis di prigione per le banche. Non possono chiudere i rubinetti a imprese e privati e rifugiarsi nei titoli di stato. È decisamente rischioso. Vedremo quindi come finirà, ma non è il caso di attendere l’Apocalisse per l’aperitivo. Con chi ceneremo, d’altronde, è tutto un altro discorso.