Il ddl Calderoli attuativo dell’autonomia differenziata; i presupposti del diritto costituzionale
1.Introduzione
Secondo autorevoli esponenti della Regione Veneto e del Ministero degli Affari Regionali, che avevano rilasciato alcune dichiarazioni alla stampa nazionale, nello scorcio della estate 2020, il treno dell’autonomia era davvero partito e non poteva che fermarsi al capolinea, ossia la firma dell’intesa. (M. BONET, 2020, pag.14).
La discussione sul ruolo delle autonomie nel rinnovato ordinamento giuridico della Repubblica fu svolta nella sede in cui il testo costituzionale venne redatto: l’Assemblea Costituente. All’interno di questa si scelse non solo di reintrodurre i valori della democrazia maanche di ripristinare il sistema delle autonomie locali presente nell’ordinamento pre –fascista, con normespecifiche volte alla loro tutela.
(E. IMPARATO 1, 2019, pag.4 e segg). Allo statalismo e alle logiche centraliste si scelse la forte alternativa autonomistica propria dell’antifascismo. Tra i settantacinque la discussione fu ampia e lunga.
Da un lato si dibatteva circa la creazione di un nuovo ente “la Regione” dall’altro sulla necessità di trasformare il precedente modello di Stato accentrato inquello “sociale delle autonomie”. La discussione verteva sul se attribuire alle Regioni solo compiti amministrativi di derivazione statale o costruire un nuovo ente politico, dotato anche di potere legislativo. Si affermava un modello in cui si concedeva ad alcune Regioni una ampia possibilità di decentramento, per ragioni di natura politica economica e sociale (c.d. a statuto speciale).
Vi era per le altre il timore che il concedere poteripolitici concorresse a spezzettare la funzione legislativa con un ritorno indietro di secoli, poiché si creavano diverse entità-stato che attuavano nelle stesse materie discipline diverse, a seconda del contesto territoriale. Comunque chi invocava l’ordinamento Regionale riteneva che questo avrebbe permesso di superare la storica arretratezza del Meridione d’Italia.
Qualunque fosse il modello auspicato, tutti i costituenti pensavano che il valore da preservare fosse quello dell’”unità nazionale”, che avrebbe garantito la“giustizia sociale e politica”. Nei principi fondamentalidella Costituzione fu introdotto l’art. 5, che così recita“la Repubblica una e indivisibile riconosce leautonomie”. Per alcuni la norma stabilisce in senso pieno il principio autonomistico, per altri il concetto di “unità della Repubblica” ne rappresenta la cornice inscindibile. Si è detto anche che il modello affermatosi nel 1948 era quello di una visione regionalista di programmazione e non di gestione. Il Costituente non ebbe il coraggio di rompere nettamente con un passato caratterizzato dalla concezione dello Stato come un sistema piramidale, in cui il potere era centralizzato(L.DI MAJO,2020, pag. 238).
Il dibattito sul regionalismo nel corso della vita repubblicana è stato ampio; nel 1970 si realizzò finalmente l’Ente Regione, considerato come territoriosub–statale. Con la riforma del Titolo V (2001) si cercòdi porre un argine alle spinte secessioniste introdotte dalla formazione politica denominata Lega Nord, che aveva visto crescere i suoi consensi soprattutto nei ricchi e prosperi territori del settentrione d’Italia. Il regionalismo divenne strumento di contesa politica,mero oggetto di scambio per la conquista del consenso. Si affermò dunque quello che ancor oggi viene definito“uso congiunturale della autonomia”.
2. Autonomia e Unità dell’ordinamento
Occorre innanzitutto ricordare a proposito di questo tema, la indizione di referendum consultivi da partedalle Regioni Lombardia e Veneto, dopo l’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione. La Corte Costituzionale nel respingere e non ammettere i primi tre quesiti di quello di quello del Veneto, ritenne che da essiemergesse un forte intento separatista, con riferimento alle risorse e alla pretesa di trattenere dell’80 per cento del gettito fiscale e che la legge regionale che li prevedeva, contenesse elementi di rottura dell’unità della Repubblica, laddove si chiedeva tra l’altro, la “indizione del referendum consultivo sulla indipendenza del Veneto.”(A. PATRONI GRIFFI, 2019).
L’Autonomia deve svolgersi nel quadro dell’Unità dell’ordinamento giuridico; a sottolinearlo è stata laCorte Costituzionale con la sentenza del 24 ottobre 2007n. 365, dopo la modifica del Titolo V della Costituzione. Si tratta di principio che non può essere soggetto a revisione, ai sensi dell’art. 138 della Costituzione. Inquest’ottica si muoveva la parziale dichiarazione di incostituzionalità delle leggi della regione Veneto, a cuisopra si faceva riferimento (sent. Corte Cost. 118 del 25 giugno 2015).
Il principio unitario si ricava innanzitutto dall’art. 120 comma 2 della Costituzione , che prevede il “potere sostitutivo dello Stato” rispetto agli organi delle Regioni, delle Città Metropolitane, delle Province e dei Comuni “nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure dipericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.”
Da un lato la riforma del 2001 ha fatto venir meno la attività tutoria e di controllo, dall’altro ha introdotto, per preservare l’unità ordinamentale a fronte di una maggiore concessione di autonomia, strumenti straordinari surrogatori che ben possono assumere un ruolo strategico(E. IMPARATO 2, 2019, pag. 18).
L’autonomia ha dei limiti e delle condizioni darispettare, poiché produce delle diseguaglianze le quali non possono andare oltre una certa soglia nell’ambito del sistema regionale nel suo complesso; ciò vuol direche il parametro delle competenze asimmetriche che sirealizza, incontra principalmente i limiti stabiliti dall’art. 120 comma 2 Cost., disposizione che richiede (come si è più sopra accennato) che sia mantenuta “la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. Deveinoltre essere rispettata la libertà di transito dei beni, la libera circolazione delle persone e delle cose, nell’esercizio del diritto del lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.
Le forme e le condizioni particolari non esonerano la Regione che li ottiene, dall’obbligo di dare il suo contributo solidale alle altre Regioni e alla Repubblica.Quelle con maggior capacità fiscale, devono dare alla “perequazione territoriale” una parte del loro gettito; nel dibattito giuridico si riteneva che per questo ultimo aspetto apparisse ormai maturo il tempo di sperimentare procedure più innovative, sulla scorta di esempi che derivano dal diritto comparato, che facciano del coordinamento della finanza pubblica, non un limite da opporre alle Regioni, bensì una politica attiva cui le Regioni possano partecipare, al fine di rendere più efficiente la perequazione territoriale (S. MANGIAMELI, 2017).
Attualmente vale il dettato dell’Art. 117, secondo comma della Costituzione lett. e) che assegnacompetenza esclusiva allo Stato in materia di ” moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari, tutela della concorrenza, sistema valutario, sistema tributario econtabile dello Stato, armonizzazione dei bilanci pubblici, perequazione delle risorse finanziarie”.Questo comporta che l’attribuzione delle risorsefinanziarie agli enti locali è sempre competenza dello Stato e che non sono possibili forme surrettizie di trattenimento delle imposte generali, prodotte sul territorio dell’ente locale, da parte dello stesso.
E’indispensabile, inoltre, prima della concessione della differenziazione, determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (da effettuare con legislazione esclusiva dello Stato ai sensi dell’art.117, secondo comma lett. m) della Cost.).L’attribuzione di competenze differenziate non deve esser considerata come un cavallo di Troia per mettere in crisi l’unità nazionale, ma come un mezzo per rivitalizzare il regionalismo italiano, valorizzando l’autonomia delle aree più dinamiche del Paese al servizio delle comunità da esse governate e delle esigenze di una migliore prestazione dei servizi pubblici e di sostegno più adeguato allo sviluppo economico e sociale dei territori più dinamici. (M. OLIVETTI 1, 2019)
3.Autonomia ed Uguaglianza
Non è agevole definire cosa significhi il principio di eguaglianza per il regionalismo. La nostra Costituzioneafferma la eguaglianza delle Regioni rispetto allo Stato;ciò si ricava dalla disciplina giuridica degli enti locali e dal carattere uniforme delle competenze attribuite a questi dalla legge comunale e provinciale. Altra cosa è però l’uguaglianza dei cittadini, specie quando si attuino le condizioni dell’autonomia .
(S. MANGIAMELI, 2020).
Si tratta di realizzare non solo l’eguaglianza formale davanti alla legge, ma anche l’eguaglianza di fatto nel godimento dei diritti costituzionali, politici o alle prestazioni sociali da riconoscere a tutti i cittadini o aogni cittadino, o a tutti (anche se non cittadini) e/o la cui garanzia non può essere a nessuno negata. Il che non vuol dire assicurare una totale parità nel godimento dei diritti costituzionali, di fatto impossibile, dipendendodalla condizione personale di ciascun soggetto.
Non si tratta di realizzare un egualitarismo difficile da realizzare, poiché esso comporterebbe l’affermare uno Stato continuativamente assistenziale; la nostra costituzione invece ribadisce i principi fondamentali della libertà di iniziativa economica e della proprietà privata. Si tratta, attraverso l’attività pubblica, di garantire la pari dignità sociale eliminando la povertà, il libero accesso all’istruzione, alla tutela della salute rimuovendo i limiti alla partecipazione all’organizzazione politica e sociale e economica del Paese. Questo vale per quanti svolgono “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società” (art.4 Cost.).
La Costituzione pretende dunque che determinatedisuguaglianze vengano meno e che si stabilisca un minimo di giustizia sociale, la rimozione degli ostacoli che inibiscono il “pieno sviluppo della persona umana”. Orbene la differenziazione legislativa e amministrativatra le Regioni comporta e svantaggi e vantaggi, puòfavorire certi soggetti e sfavorirne altri. Una certa competitività tra i territori è desiderabile poiché la concorrenza tra assetti di governo di diverso livello, dàvita a forme di emulazione in base alle quali si cerca di attrarre investimenti dall’esterno o evitare determinati costi.
Questo concorre a migliorare l’efficienza amministrativa, poiché in uno Stato decentralizzato i funzionari dei diversi livelli, saranno in concorrenza tra loro e cercheranno di mostrarsi maggiormente adatti a gestire le amministrazioni, erogare servizi, organizzare la produzione di beni; ciò vale anche rispetto agli entilocali degli altri territori. Il sistema autonomistico offre una migliore efficienza amministrativa, produttiva, perché importa la necessità di attrarre sempre nuoviinvestimenti e risorse e una maggior capacità manageriale della pubblica amministrazione.
Però una asimmetricità socio–economica tra i territori non è eliminabile; ad esempio perché il loro gettitofiscale, dipende non solo dalle aliquote ma soprattutto dalla capacità fiscale degli stessi, che è legata allarispettiva forza economica. Quindi se ogni Regione che compone lo Stato avesse una autonoma capacità fiscale o impositiva e la possibilità di devolvere integralmente le risorse economiche prodotte sul suo territorio, si determinerebbe una lesione del “principio di eguaglianza” perché i cittadini godrebbero per gli stessi servizi di risorse diverse a seconda della collocazione geografica in cui si trovano e vivono. Il Governo centrale pertanto deve governare la differenziazione perché questa è sempre foriera di disparità.
La stessa va contenuta entro limiti accettabili a rischio di creare e alimentare conflitti interni o forme di disgregazione dello Stato. Occorre dunque perequare le condizioni dei singoli individui all’interno del sistema,attraverso l’uso delle entrate fiscali, attribuendo ai territori meno fortunati una certa percentuale delle risorse prodotte in Regioni più ricche. Questa possibilità consente di salvaguardare l’eguaglianza formale tra icittadini davanti alla legge, attraverso la parità fiscale e itrasferimenti (come si diceva) economico-finanziari.
Nel determinare le imposte tra soggetti aventi lo stesso reddito, si dovrà tener conto anche della qualità dei servizi resi, a seconda del luogo ove questi vengono elargiti. Altrimenti si creerebbe una maggiore pressione fiscale in quelle Regioni che a parità di imposizione offrono un valore dei servizi più basso. Si tratterà di garantire parità di trattamento fiscale solo quando lecondizioni siano simili.
Questo comporta che il luogo di residenza dell’individuoha un effetto rilevante sulla sua posizione fiscale e la perequazione migliora l’efficienza tra i diversi territori,impedendo che gli individui si trasferiscano da quelli più poveri a quelli più ricchi, dove possono ottenere miglioriservizi e quindi maggiore ricchezza.
Bisogna poi considerare che i trasferimenti perequativinon sono elargizioni delle Regioni ricche a quelle povere, simili a contributi di beneficenza. In ragione del principio suddetto i cittadini delle regioni più povere hanno il diritto di ricevere quelle sovvenzioni che consentano loro di godere in modo appropriato dei servizi essenziali o se ciò non è possibile, di ottenere adeguati sgravi fiscali. Improprio è il ricorrere all’espressione di “residuo fiscale” da intendere come risorse appartenenti esclusivamente ad un certo territorio.
Queste non vengono sottratte al territorio più ricco,facendo prevalere una fiscalità regionale autonoma che,come abbiamo visto al paragrafo precedente, non è riconosciuta dalla norma dell’art. 117 Cost., secondo comma. Il ritenere ammissibile un fisco esclusivamenteregionale comporterebbe la istituzione inaccettabile di barriere interne, minando la circolazione di beni eprodotti, rispetto ai cittadini delle Regioni più povere che non potrebbero, per motivi economici acquistarle. In ultima analisi una fiscalità generale regionale o una mancato ricorso alla perequazione, impoverirebbe il mercato interno e danneggerebbe in grande misuraproprio i territori più ricchi.
4.Il Regionalismo differenziato quale previsto dalla Costituzione Italiana
Le disposizioni contenute nell’art. 116, terzo comma prevedono che ulteriori forme e condizioni di autonomia, possono essere concesse ad altre Regioni,con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119 Cost. La legge è approvata dalleCamere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e l’ente locale.
Nel merito è noto che in data 3 dicembre 2019 il Ministro degli Affari regionali e le Autonomie, avevainviato ai Presidenti delle giunte regionali di Veneto,Lombardia ed Emilia– Romagna, una “bozza di legge quadro” contenente i principi per l’attribuzione alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia ex art. 116, comma 3 Cost. e che indicava le modalità di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep)all’art.1, nonchè degli obiettivi di servizio (art. 2). (M.MANCINI 1, 2020)
Erano inoltre circolate alcune Bozze di intesa tra tre Regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia– Romagna)elaborate dopo intense trattative svoltesi tra gli esecutivi regionali e il Governo, coadiuvati da comitati di esperti. Occorre precisare che l’avviare il percorso di “differenziazione” non è una scelta costituzionalmente obbligata.
Il Parlamento è libero nell’an, nel quomodo, e nel quantum della differenziaziazione, nel quadro dei limiti di materia, di procedura, e di contenuto previsti dall’art.116,3 comma Cost. e ancor più è libero il Governo nel decidere se avviare o meno la trattativa richiesta dalla Regione.(M.OLIVETTI 2,2019).
Il procedimento riguarda una modifica del riparto di competenze costituzionalmente attribuite allo Stato; alla Regione è riconosciuto un potere di iniziativa e una mera aspettativa di realizzazione.
I contenuti del regime di differenziazione dovrebbero essere il frutto di un accordo paritario o di un concorso di volontà tra Parlamento, Governo e Regione interessata. Nel procedimento delineato dalla Carta Costituzionale esiste una centralità del Parlamento,quale effettivo decisore, cui è rimessa l’ultima parola,circa la concessione o meno alla Regione del regime differenziato, attraverso l’approvazione a maggioranza assoluta della intesa raggiunta. (A. PIRAINO,2020).
Ciò perché le competenze che vengono trasferite appartengono allo Stato, di cui il Parlamento è il legittimo rappresentante. I regolamenti parlamentari potrebbero introdurre e prevedere soluzioni che possano valorizzare il ruolo centrale delle Camere mediante mozioni o risoluzioni preventive indirizzate al Governo per invitarlo o a riaprire la trattativa con la Regione, se questa si era arenata, a negoziare modifiche di contenuto dell’intesa o del disegno di “legge di differenziazione”,quali condizioni imprescindibili del passaggio della legge. L’art. 116,3 Comma prevede attualmente l’alternativa secca tra l’approvare o respingere l’Intesa.
Per cui sembrerebbe che emendamenti più o menomarginalmente modificativi non siano ammissibili ex-post. La possibilità di respingere o approvare in bloccol’Intesa sarebbe lesiva del ruolo delle Camere e danneggerebbe l’interesse delle Regioni, perchè anche a fronte di limitate modifiche richieste da una parte minoritaria, potrebbero vedersi respingere la legge rinforzata, vista la necessità di una maggioranza qualificata.
L’intesa in ogni caso deve rispettare alcuni “limiti esterni”. Il primo è quello della unità e indivisibilità della Repubblica (art.5 Cost.), quello di uguaglianza (art.3 Cost.) e quello di solidarietà sociale (art. 2 Cost.). Vanno poi salvaguardati valori unitari e finalistici insuscettibili di frazionamento e diversificazione territoriale. Occorre quindi che la trattiva riguardi solo le materie cui fa riferimento l’art. 116,3 comma Cost. enon i limiti esterni previsti dalla norma Costituzionale,riservati alla decisione esclusiva delle fonti statali.
Prima di avviare l’iter del procedimento dovrebbero dunque essere determinati a parte i “livelli essenzialidelle prestazioni civili e sociali” (art. 117 lett..m )nonché dovrebbe essere istituito “il fondo perequativo e la previsione di contributi di coesione territoriale” (art.119), al fine di evitare di introdurre regimi differenziati idonei a pregiudicare l’uniforme godimento e il livello minimo di tutela sull’intero territorio nazionale di alcuni diritti fondamentali, a riguardo a materie “differenziabili” quali “l’istruzione” o la “sanità” o suscettibili di arrecare una lesione al principio disolidarietà interterritoriale, cui deve ispirarsi la distribuzione delle risorse.(M. MANCINI 2, 2020 , pag. 152).
La legge Boccia prevedeva che i Lep e i fabbisogni standard potessero esser definiti anche “dopo” e non prima dell’approvazione delle leggi di differenziazione e la loro determinazione non veniva rimessa alla legge,bensì a uno o più decreti del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Regionali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze sentiti i Ministri competenti. La normativa in questione sembravaprevedere la determinazione di Lep e di fabbisognistandard in modo “congiunturale e “contingente” senza aspirazioni “sistematiche”. L’art. 117, comma 2,prevede che Lep e fabbisogni standard siano determinatidal legislatore statale in via generale e in riferimento a tutte le materie, in modo che tutti gli enti locali regionalisiano obbligati e non solo quelli che hanno chiesto la differenziazione.(MARCO MANCINI 3, 2020, pag. 153).
Appariva opportuno che l’ente locale, nell’invito rivolto al Governo di avviare le trattative potesse esplicitare, riguardo a ciascuna materia, per la quale rivendicavamaggiore autonomia, le ragioni giustificative dellarichiesta. Si trattava infatti della devoluzione di competenze legislative e pertanto la Regione istante avrebbe dovuto indicare espressamente le specifiche peculiari politiche pubbliche che intendeva perseguire,con il nuovo regime.
5.Le proposte di differenziazione presentate nel recente passato
Dopo lo svolgimento il 22 ottobre 2017 del referendum in Veneto e in Lombardia di carattere consultivo, il giorno primo dicembre 2017 prendevano avvio ufficialmente le trattative tra le Regioni Lombardia, Veneto, Emilia–Romagna e il Governo Gentiloni. Il 28 febbraio 2018 i Presidenti delle tre Regionisottoscrivevano una c.d. Pre-Intesa con ilSottosegretario agli Affari Regionali Gianluca Bressa, per il governo. In questi accordi preliminari e in quelli successivi Veneto e Lombardia avrebbero chiesto l’attribuzione di tutte e ventitrè le materie, indicate nell’art. 116 comma 3, mentre l’Emilia–Romagna si sarebbe limitata a chiederne quindici. Lombardia e Veneto avevano condotto le trattative fino al limite consentito dal dettato costituzionale, integrando il loro comportamento quasi una richiesta di secessione.
Invece l’Emilia-Romagna aveva fatto un uso più parsimonioso delle possibilità riconosciute. In ogni casole Regioni richiedenti avrebbero dovuto dimostrare che,la ordinaria competenza “concorrente” non fossesufficiente, tenuto conto delle loro peculiarità a valorizzare le loro specifiche caratteristiche territoriali.L’aspetto più controvertibile del comportamento di Veneto e Lombardia – oltre la rivendicazione del residuofiscale – era quello di avere reclamato tutte le competenze astrattamente reclamabili, in tal modo trasformando l’autonomia da strumento per realizzaresottostanti istanze materiali concrete in valore politico in sé.(F. PALLANTE, 2019).
Il 14 marzo del 2018 si svolgevano le elezioni politiche.Il primo giugno del 2018 si insediava il Governo Conte 1 (Coalizione politica M 5S, Lega) e veniva designatoMinistro senza portafoglio agli Affari Regionali la Sen. Erika Stefani. Per il periodo di durata di questo Governo (15 mesi) si svolgevano continue trattative con l’apertura di numerosi “tavoli tecnici” tra l’Esecutivo e le Regioni Emilia–Romagna, Lombardia e Veneto. Si susseguivano ripetuti scambi di bozze tra centro e periferia, aventi ad oggetto l’applicazione dell’art. 116,3 comma Cost.
Gli ultimi due invii di una bozza da parte della Regione del Veneto al Ministro Stefani, avvenivano in febbraio 2019 e in maggio 2019. Il 20 Agosto 2019 il Governo Conte 1 rassegnava le dimissioni e il 5 settembre si insediava il Governo Conte 2 (coalizione politica M5S,PD, Italia Viva, Leu). Ministro senza portafoglio agli Affari Regionali era nominato l’On. Francesco Boccia(PD). Il 17 settembre 2019 la Regione Veneto mandavauna nuova bozza di atto al Ministro Boccia. Le bozze di intese circolate fino ad allora e intercorse con le treRegioni prevedevano, due titoli, un primo di otto articolida applicarsi in modo uguale per le tre Regioni richiedenti un secondo di 40 o 50 disposizioni, relative ai trasferimenti di competenze e funzioni.(B. CARAVITA, 2019).
Il 10 ottobre il Ministero agli Affari Regionali inviavauna contro-bozza alla Regione del Veneto. Trattavasi di osservazioni alla bozza del maggio 2019, come se nonne fosse seguita un’altra nel mese di settembre.
L’11 novembre 2019 il Governo portava a conoscenzadei Presidenti delle tre Regioni interessate, una “bozza di legge quadro” composta di due articoli. La propostaveniva poi inserita nella “Nota di aggiornamento al Decreto di economia e Finanza del 2019” fra i provvedimenti collegati alle decisioni di bilancio. La legge-quadro in questione stabiliva che le Intese tra Stato e Regione con le quali erano attribuite ai sensi dell’art. 116,3 comma Cost. ulteriori forme e condizioni di autonomia, al fine di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni e gli obiettivi di servizio su tutto il territorio nazionale, avrebbero dovuto adeguarsi aprecisi obiettivi e modalità di attuazione. Il primo eraquello della determinazione nelle materie oggetto di attribuzione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) o degli obiettivi di servizio uniformi su tutto il territorio nazionale e dei fabbisogni standard ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione.
Il secondo era quello del finanziamento delle funzioniattribuite sulla base dei fabbisogni standard, dei livelli essenziali delle prestazioni o degli obiettivi di serviziosecondo quanto determinato al punto precedente. Il terzo principio quello della necessità di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli delle prestazioni o gli obiettivi di servizio, anche attraverso la “perequazioneinfrastrutturale”. A tal fine i futuri finanziamenti per le infrastrutture avrebbero dovuto tener conto di tale obiettivo. Si prevedeva inoltre il riparto tra Regione ed enti locali delle funzioni amministrative, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezzaprevisti dall’art. 118 Cost., facendosi riferimento anche al principio solidaristico. Si sottoponeva l’attribuzione delle funzioni dopo la entrata in vigore della legge di approvazione della Intesa, alla condizione sospensiva che fossero stati determinati i livelli essenziali delle prestazioni, gli obiettivi di servizio e i fabbisogni standard.
Gli stessi, come si diceva, dovevano essere individuati e determinati con uno o più decreti del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro degli Affari Regionali e le autonomie e di concerto con il Ministro delle Finanze sentiti i Ministri di volta in volta competenti. La legge prevedeva anche delle norme sul procedimento da seguire per la negoziazione delle Intese e la loro approvazione con legge rinforzata. Questa normativanon andava esente da critiche(L. MAZZAROLLI, 2019,pag.9 e 10.).
A parte quelle esplicitate al paragrafo precedente si disseche una legge ordinaria, per “principi” per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, per delimitare e circoscrivere una disposizione costituzionale (art. 116, comma 3 Cost.), sarebbe stataillegittima in quanto avrebbe violato l’art. 138 della Cost., che prevede un apposito procedimento, per l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale, le uniche che possono delimitare un articolo della Costituzione.
8. L’autonomia differenziata ai tempi dei governi Draghi e Meloni
Il governo Draghi succeduto al Conte 2 inseriva tra i disegni di legge collegati alla “Nota di Aggiornamento al Decreto di economia e finanza”, il disegno di legge attuativo dell’art. 116, comma 3 della Costituzione. In realtà non si giungeva alla definizione di un decreto legislativo delegato; nel contempo la Ministra per l’autonomia M. S. Gelmini annunciava “una nuova legge quadro”, erede di quella dell’ex ministro Boccia e degli accordi, di cui si diceva. Si rilanciava, pertanto, il criterio della spesa storica, da molti criticato, perchéritenuto iniquo. Il governo inseriva nella “legge di bilancio del 2022” ben 4 articoli (43,44,45,179), che siriferivano ai Livelli essenziali di prestazione.
Trattavasi di disposizioni generiche che facevano credere, da un lato, che lo Stato avesse già identificato gli obiettivi dei servizi e i costi medi dei Lep, creando l’illusione che le risorse sarebbero state ripartite secondo il principio di solidarietà, previsto dall’art. 2 della Costituzione. Dall’altro si governava l’illusione che venivano seguite le indicazioni e i criteri forniti dalla Corte dei Conti, che aveva indicato la necessità che l’autonomia differenziata fosse varata, dopo la definizione degli obiettivi dei servizi, dei costi medi edegli stessi e dei Lep. Nel testo era assente qualunque riferimento al fondo di perequazione, che avrebbe dovuto consentire, ad autonomia realizzata, il superamento dello squilibrio economico tra le diverse aree del Paese. Le norme non fissavano criteri, non individuavano obiettivi, costi e livelli di prestazione,limitandosi a stabilire una procedura, nella quale si introduceva il parere obbligatorio, ma non vincolante, di una Commissione tecnica per i fabbisogni standard.
Con l’incipit della XIX legislatura è stato formato il governo Meloni (dopo la chiara vittoria politica del centrodestra alle elezioni politiche del 25 settembre 2023) formato da Fratelli d’Italia, Lega per Salvini Premier, Forza Italia, Italia al Centro e Noi Moderati; Ministro per le autonomie e le riforme istituzionali è stato nominato l’on. Roberto Calderoli.
Il percorso autonomista sembra aver ripreso vigore e consistenza con la presentazione, dopo il via libera del Consiglio dei ministri, di un decreto legislativo delegato per l’attuazione della autonomia differenziata prevista dalla riforma costituzionale del 2001. Al momento in cuiscriviamo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha firmato, suggellando l’invio del testoalle Camere per iniziare il percorso della sua approvazione. Il complesso normativo sembra ad una analisi testuale equilibrato, rispettoso delle osservazioni e dei rilievi che la dottrina costituzionalista aveva avanzato nel corso degli anni. Scopo di questo lavoronon è un commento del “ddl Calderoli” e pertanto ci si limita a riportarne i tratti e le norme salienti.
All’ art. 1 comma 1 si afferma che la legge in parola “definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma della Costituzione”.
Sempre nel medesimo articolo (comma 2), con norma programmatica, si stabilisce che “L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’art. 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge o sulla base della procedura di cui all’art. 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma lettera m) della Costituzione”.
Il passo avanti è evidente; la determinazione dei Lep è ora prevista non come misura congiunturale ma sistemica e condizione per la approvazione della legge.
L’art.2 del ddl, stabilisce la procedura per l’approvazione delle intese fra Stato e regione per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia; a prima vista essa si presenta come fortemente garantista delle prerogative degli organi costituzionali e politici coinvolti (Parlamento, Governo, Regioni a Statuto ordinario).
L’art. 3 che reca la seguente rubrica “Determinazione dei Lep ai fini dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma,della Costituzione”, stabilisce al comma 1 che “ai fini dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono esser garantiti su tutto il territorio nazionale (di seguito, Lep) e i relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, secondo le disposizioni di cui all’art 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, nelle materie o ambiti di materie indicati con legge”.
Il tema dei Livelli essenziali di prestazioni è dunque preponderante nell’articolato, segno della volontà dei promotori del decreto di garantire unità ed eguaglianza tra i cittadini di tutta la Repubblica, ad autonomia realizzata. Afferma il Ministro Calderoli in una intervista al Corriere della Sera di domenica 26 marzo 2023 “Il Parlamento deciderà quali materie saranno riferibili ai diritti sociali e civili, ed è una delle scelte più difficili a cui sarà chiamato. A stabilire i Lep, i costi e i fabbisogni sarà la cabina di regia che sarà supportata da un comitato tecnico scientifico di cui vado orgoglioso”.
L’art. 4 al primo comma stabilisce il trasferimento delle funzioni “soltanto dopo la determinazione dei medesimi Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard. Qualora la determinazione dei Lep di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanzapubblica”. Si tratta di clausola di salvaguardia, che tende a tutelare l’equilibrio di bilancio, del resto coerente con quanto previsto dall’art. 8 che stabilisce che “dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Norma problematica e di cui si paventa la applicazione,specie da molti rappresentanti di enti locali del meridione d’Italia, è quella dell’art. 5 secondo comma che stabilisce “l’intesa di cui all’art. 2 individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, nel rispetto dell’art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonchè nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 119, quarto comma, della Costituzione”. A parte il problema interpretativo-linguistico della portata della normativa in questione, del coordinamento con le norme costituzionali e ordinarie di equilibrio di bilancio e di riserva tributaria, si pone però un problema reale che è quello del finanziamento delle funzioni attribuite. Vedremo se la norma resisterà al controllo del Parlamento e della Corte Costituzionale.
Altra norma di programmatica di garanzia è quella dell’art. 8 terzo comma ove si dice “sono garantiti l’invarianza finanziaria, in relazione alle intese approvate con legge di attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, per le singole Regioni che non siano parte dell’intesa, nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’art. 119, terzo e quinto comma, della Costituzione. Le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni”.
L’art. 9 reca la rubrica “misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale”. Le disposizioni prevedono misure perequative per le Regioni che non concludono leintese “ai fini della promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, della rimozione degli squilibri economico sociali e del perseguimento delle ulteriori finalità di cui all’art. 119, quinto comma, della Costituzione”. Sono costituite dalla unificazione delle diverse fonti aggiuntive e straordinarie di finanziamento statale in conto capitale, dalla semplificazione e uniformazione delle procedure di accesso, di destinazione territoriale, di spesa e di rendicontazione al fine di garantire un utilizzo più razionale, efficace ed efficiente delle risorse disponibili salvaguardando gli specifici vincoli di destinazione, nonché la programmazione già in corso. Inoltre “b) l’unificazione delle risorse di parte corrente e semplificazione delle relative procedure amministrative, c) l’effettuazione di interventi speciali di conto capitale da individuare mediante gli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio di cui all’art. 7, comma 2, lettere a), d) ed f), della legge 31 dicembre 2009,n.196”.
8. Conclusioni
La realtà dell’autonomia e della differenziazione si va sempre più affermando in modo propositivo e costruttivo nel nostro ordinamento. Permette di valorizzare caratteristiche peculiari delle Regioni e deiterritori. La diversità economica tra questi impone cheessa sia attentamente governata, alla luce dei principi di eguaglianza sostanziale e giustizia sociale. Non può accettarsi che la differenziazione sia strumento di accentuazione delle diseguaglianze. Occorre che sipreservi una sostanziale omogeneità di condizioni, tra quanti vivono e lavorano nella Repubblica. Gli strumentiistituzionali per affermare questo valore vengono costantemente rinnovati. Sembra che una stagione di riforme costituzionali concernenti la forma dello Stato,che tenga conto delle necessità della autonomia, al fine di governarla, si vada affermando. Occorre che gli strumenti legislativi in corso di approvazione vengano,con onestà, coraggio ed equilibrio applicati, per evitare pericolosi squilibri, al fine di utilizzare l’autonomia differenziata come strumento di sviluppo economico e sociale di tutto il Paese.
Cesare Augusto Placanica