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    RIFORME DA FARE O DA RIFARE

    RIFORME DA FARE O DA RIFARE
    Con l’obiettivo di assicurare all’Italia maggiori possibilità di sviluppo, maggiore efficienza e tempestività nelle decisioni e passare finalmente “dalle parole ai fatti”, è tornato d’attualità il tema delle Riforme.
    Non dovrebbe essere inutile né superfluo, quindi, soffermarci su alcuni argomenti, mettendo, però, in discussione anche alcune “certezze”, o meglio alcune riforme già fatte.
    L’obiettivo perseguito di dare maggiore credibilità alla Politica (mettere, cioè, si direbbe nell’Antica Venezia, la scienza e la tecnica al servizio della Politica e non viceversa), valorizzando e ridando prestigio e responsabilità agli eletti, dovrebbe anche comportare il fatto di riconoscere e prendere atto che la nostra Costituzione, là dove precisa che il voto deve essere “uguale” e  “diretto”, prevede il sistema elettorale proporzionale con preferenze. Il legislatore nazionale, però, per ora, non intende “cedere” , anche se ormai più volte la Corte Costituzionale ha bocciato leggi elettorali non rispettose di tali prescrizioni (vedasi il Porcellum e non solo).
    Il continuo aumento della “non partecipazione” al voto (astensione), la rinuncia, cioè, ad esercitare la possibilità di votaree scegliere, dimenticando le fatiche e le lotte che sono state necessarie per il riconoscimento di tale diritto, non ha ancora “costretto” il legislatore a provvedere di conseguenzasull’argomento.
    La perdita di autorevolezza della politica (spesso per proprie precise responsabilità) ha portato al prevalere di altre “forze”, che credendo o tentando di risolvere i problemi dell’Italia, hanno ottenuto spesso che la politica fosse al servizio di propri obiettivi, riducendo il numero degli eletti nei Comuni, nelle Provincie, nelle Regioni e nel Parlamento. Si è giustificato il tutto per ridurre i costi, per fare grandi risparmi, mai, però, per migliorare i servizi.E i risultati sono visibili a tutti.
    Solo la Politica, invece, avvalendosi certamente di esperti e di scienziati, potrebbe affrontare e risolvere i problemi del lavoro, dello sviluppo, della sanità,  della previdenza, della famiglia. Ai tecnici, ai burocrati la funzione e la capacità di fare proposte, di individuare possibili soluzioni ai problemi, dare adempimento alle disposizioni legislative e amministrative, alla Politica, però, il coraggio, la lungimiranza, la passione, la tenacia per assumere le necessarie decisioni. Nessuna Categoria, nessuna Organizzazionepuò avere, da sola, il compito e la capacità di difendere il “Bene Comune”, di fare l’Interesse Generale, anzi spesso o talvolta, vi è il tentativo di “spartirsi” lo Stato, di dividersi il “patrimonio pubblico”, a danno magari di chi non è organizzato, non ha voce, non ha tutele o semplicemente ha rinunciato a lottare o a sperare che le Istituzioni Pubbliche difendano il “Bene Comune”.
    L’esistenza, in passato e dove, ancora esiste (elezione del Parlamento Europeo), del sistema elettorale proporzionale con preferenze, non ha certamente impedito la realizzazione di grandi riforme economiche, sociali e istituzionali, né la efficace difesa della democrazia e della libertà.
    Altro argomento. Nessuno si domanda perché ogni anno 700/800 comuni vanno al voto e non, invece, tutti insieme in un’unica scadenza ogni cinque anni. L’elezione diretta del Sindaco, prevista da una legge del 1993, per dare maggiore forza e stabilità alla gestione del Comune è diventata, invece, il motivo principale d’instabilità. Nata anche per dare maggiori poteri e continuità a chi, però, già godeva  di  prestigio, autorevolezza e capacità di ascolto, ha sostituito, spesso, tutto questo, con autoritarismo, presunzione o peggio. I Sindaci, oggi, spesso in trincea e unici veri rappresentanti della propria comunità, dovrebbero, cioè, anche saper ascoltare, “fare squadra”, concedere fiducia evalorizzare la collegialità nelle scelte.
    Per “liberarsi” del Sindaco, se ritenuto non idoneo, è ora necessario “andare tutti a casa” e rifare le elezioni. Per questo ogni anno centinaia di comuni vanno al voto. L’elettore, invece, dopo aver votato un programma e delle persone desidererebbecertamente che gli eletti trovassero le soluzioni ai problemi, evitando di “scaricare” sull’elettorato le proprie difficoltà o incapacità. Se un Sindaco, prima della legge citata, non era capaceo non godeva più della necessaria fiducia, il Consiglio Comunaleprovvedeva a sostituirlo , garantendo continuità e stabilità alla gestione comunale ed evitando, così, anche lunghi periodi di commissariamento.
    Come non bastassero gli ampi poteri, con relative responsabilità, che oggi hanno i sindaci, periodicamente si propone, inoltre, di eliminare il numero massimo di mandati consecutivi (ora massimo due per i comuni sopra i 5000 abitanti). Ma il numero massimo di mandati è stato fissato proprio quando è stato prevista l’elezione diretta e l’aumento dei poteri , unitamente all’eliminazione di ogni forma di “superiore” controllo amministrativo e la riduzione delle competenze del segretario comunale. Anche recentemente la Corte Costituzionale, citando anche sentenze di altre Magistrature,  ha ricordato che il numero massimo di mandati è stato previsto quale “temperamento di sistema”, rispetto alla contestuale introduzione dell’elezione diretta e l’attribuzione di nuovi poteri in capo ad una “sola persona”, sistema che “può produrre effetti negativi sulle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione”. Ponendo, inoltre, un limite ai mandati si evita, afferma sempre la Corte Costituzionale, il rischio di una “sorta di regime”, inevitabile in caso di successione reiterata nella funzione di governo e nell’esercizio del potere di gestione degli enti locali.Prima del 1993, i Sindaci governavano soprattutto grazie alla loro autorevolezza e capacità, erano eletti e sostituiti dal Consiglio Comunale, e potevano svolgere un numero illimitato di mandati.Talvolta, cioè, tornare al passato non sarebbe sempre sbagliato.
    I sistemi elettorali, l’aumento dei poteri degli eletti (magari riducendoli ai burocrati) possono aiutare chi è già autorevole e stimato, evitando, però, di dare autorità, in alternativa o in sostituzione, a chi non ha o non conserva i requisiti fondamentali e indispensabili per essere ascoltato e saper governare.
    La partecipazione di tanti amministratori comunali allo sviluppo della propria comunità, la realizzazione di servizi di alta qualità nella sanità, nel sociale, nel piccolo credito, nel “terzo settore”, è opera di tanti generosi e illuminati amministratori, oggi spesso ridotti, come componenti delle giunte e dei consigli comunali, a organi di consulenza. Senza dimenticare, inoltre, che dai grandi numeri emergono i campioni (ossia dalla partecipazione di tante persone possono nascere i futuri dirigenti politici e amministrativi) e che non basta “investire” nei presunti “campioni”, spesso privi di umiltà e capacità di ascolto, e poi sorprenderci o lamentarsi del cattivo governo della “cosa pubblica”. La politica, soprattutto per i giovani amministratori, dovrebbe essere anche volontariato, scelta di vita, di solidarietà, di carità.
    Quindi, per un ‘ Italia migliore, è auspicabile, oltre a  maggiore coraggio, maggiore efficienza e tempestività nelle decisioni, anchemaggiore democrazia, poteri più diffusi, controlli dal “basso” (raramente funzionano, quando esistono, quelli dall’ ”alto”), professionalità e non professionismo, e reale possibilità di proposta e di controllo da parte degli organi collegiali eletti.
    Luciano Falcier ex parlamentare

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