Indiana Jones e il Quadrante del Destino (2023), è il nuovo film di Indiana Jones che riporta il mitico archeologo con la frusta, il borsalino e la faccia di Harrison Ford nelle sale cinematografiche. La storia si muove tra passato e presente, senza deludere le aspettative dello spettatore. Insomma Indiana Jones è Indiana Jones, due ore di intrattenimento, avventura, azione, ironia, soprannaturale, lotta ai totalitarismi, ambientazione storica e un immancabile pizzico di romanticismo. Cosa si potrebbe dire contro Indy? Niente, al massimo può non piacere il genere.
Invece il Washington Post riesce ad attaccare, attraverso un articolo dell’illuminato professor Gerry Canavan dal titolo “Le origini letterarie razziste di Indiana Jones”, il leggendario eroe. Secondo Canavan il “grande eroe bianco” avrebbe ereditato tratti razzisti dai suoi predecessori, tra cui Flash Gordon e Zorro, rientrando a pieno titolo nel mirino della “Cancel Culture” che vorrebbe eliminare la storia, la letteratura e la filmografia in nome del politicamente corretto e dell’ideologia Woke.
Secondo Canavan, il personaggio d’avventura sarebbe stato influenzato da precedenti prototipi di letteratura razzista, in quanto l’intera tradizione dei libri di avventura del XX secolo come Le miniere di re Salomone, Viaggio al Centro della Terra e persino Tarzan sarebbero opere in cui “risulta molto difficile ignorare il razzismo di cui è intrisa la storia”.
Il professore di letteratura americana, attraverso la sua analisi perversa, cerca di farci riflettere: “Pensate, ad esempio, a come i film di Indiana Jones usano la minaccia nazista per distrarre dal fatto che il nostro eroe si appropria quasi sempre dei tesori dei popoli indigeni o pre-coloniali”. Il docente inoltre non perdona all’archeologo, in quanto scienziato, alcune debolezze religiose: “Uno scettico ossessionato da se stesso e solitario, un uomo di scienza che ha lasciato che la sua carriera escludesse tutti gli altri aspetti della sua vita (…) ottiene un dono momentaneo di grazia, uno scorcio del divino, che cambia la sua vita per sempre”. Insomma vietato credere.
La forzatura dell’articolo è evidente e ridicola, ma il problema esiste. Il pensiero buonista, unico e dominante, appartenente alla minoranza della popolazione, per difendere i diritti umani, l’inclusione sociale e l’azzeramento delle differenze, impone un nuovo pensiero e un nuovo linguaggio vietando la libertà di pensiero e di linguaggio alternativi. La cultura Woke colpisce la creatività del cinema, del teatro e della letteratura dall’interno, come una mutazione genetica apparentemente irreversibile. Il risultato dell’operato è sostanzialmente uno: non si può dire nulla che sia diverso dal pensiero imposto. Ma l’arte, a partire dalle commedie e tragedie greche, è sempre stata anti sistema. La stessa sinistra ha costruito la sua forza culturale in quanto anti governativa. Oggi non è più possibile, perché qualsiasi accenno contro il pensiero “corretto” viene considerato inaccettabile e negli Stati Uniti, in taluni casi, è addirittura reato. Chiunque, sano di mente, non può non ammettere che tale situazione sia paragonabile alle peggiori dittature. E la chiamano democrazia.
La noia regna sovrana. Nessuno guarda più la televisione, i cinema sono vuoti, a teatro non c’è mai andato nessuno. Netflix e Amazon propongono sempre la stessa storia: maschi bianchi cattivi, donne che si vendicano, gay buoni, scene di sesso omosessuali gratuite. Negli Stati Uniti la “clausola di inclusione” obbliga le produzioni a non fare discriminazioni di genere o di razza sul set, prevedendo una percentuale di “diversità” obbligatoria a partire dagli attori per arrivare alle maestranze. Titoli come “Capitani Coraggiosi” o “I Magnifici Sette”, con il 100% di attori maschi eterosessuali, oggi non sarebbero proponibili. E’ la morte della creatività.
Giovanni Zola