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    Medio Oriente, l’impatto del Canale di Suez sull’economia europea

    Medio Oriente, l’impatto del Canale di Suez sull’economia europea
    Le lancette della storia sembrano tornate indietro nel tempo. L’allargamento della guerra in Medio Oriente, con i raid di Usa e Uk sulle basi degli Houthi in Yemen, in risposta agli attacchi alle navi nel Mar Rosso sta infatti influenzando una delle vie fondamentali per il commercio globale, con molte imbarcazioni mercantili che stanno scegliendo di evitarla.
    Attraverso il canale di Suez, infatti, transita solitamente circa il 12% del commercio globale e il 9% di prodotti legati al petrolio, ma negli ultimi giorni il dato fa segnare un -66% della media delle imbarcazioni transitate.
    La preoccupazione degli analisti continua a crescere, e la situazione rischia di giungere ad un punto di non ritorno.
    L’importanza del canale di Suez
    Il canale di Suez, e il Mar Rosso in generale, infatti, sono ancora oggi indispensabili per il commercio globale, basti pensare che da qui passa la componentistica delle nostre auto, il petrolio, molti dei prodotti che acquistiamo online.
    In queste ore però, sempre più imbarcazioni, comprese le navi container, scelgono di evitare il canale di Suez e dirigersi verso il capo di Buona Speranza, una rotta che va da Singapore al Nord Europa, che sembrava ormai abbandonata da quando venne creato artificialmente il canale nel 1869.
    La rotta, che ci riporta a pensare ai viaggi delle scoperte dell’epoca colombiana, richiede infatti 10 giorni in più di navigazione, 3.500 miglia nautiche in più e un milione di dollari in più di carburante.
    In questi giorni, infatti, si è registrato un calo repentino, pari al -66% rispetto alla media storica, dei passaggi di navi attraverso l’istmo che collega il Mare Nostrum con il vicino e l’estremo Oriente.
    Le ripercussioni
    Ora le ripercussioni sembra sitano già condizionando le multinazionali che da sempre beneficiano delle rotte più spedite del canale di Suez.
    Tesla, ad esempio, ha fatto sapere di essere costretta “a sospendere la produzione di veicoli nella Gigafactory di Berlino-Brandeburgo tra il 29 gennaio e l’11 febbraio, ad eccezione di alcuni comparti” per carenza di componenti. Lo stesso hanno annunciato Volvo in Belgio e Ikea.
    Anche l’Italia, per i comparti più disparati, sta risentendo della situazione – basti pensare che il commercio che passa da Suez vale per l’Italia 150 miliardi – da una parte perché i porti sono relativamente vicini all’istmo egiziano, dall’altra perché il nostro è un Paese a fortissima vocazione export. E considerando che i costi di trasporto dalla Cina sono quattro/cinque volte più alti, in particolare per la rotta Shanghai-Genova, i rincari si prospettano salati, e rischiano di risvegliare l’inflazione.
    Andrea Valsecchi

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