In Italia sono 4 milioni e 203 mila i lavoratori assunti a tempo parziale, ma più della metà di questi non ha scelto tale forma di subordinazione. Secondo l’Istat, infatti, si tratta del 56,2% del totale, che ha dovuto “accontentarsi” per necessità o assenza di possibilità di assunzione a tempo pieno.
In altre parole, si tratta di una forma di part-time involontaria, che colpirebbe maggiormente le donne, almeno per tre quarti. Per l’Istituto di statistica subiscono il part time involontario circa il 16,5% di donne sul totale delle occupate, contro un nettamente più inferiore 5,6% degli uomini.
Lo studio, intitolato “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro”, ha evidenziato che nel nostro Paese in ben 8 imprese su 10 l’incidenza delle donne in part-time sul totale dei dipendenti si attesterebbe ad oltre il 50%, mentre circa il 12% delle imprese utilizza il part-time in modo strutturale (oltre il 70% dei dipendenti).
Ma l’incidenza non riguarda solo le donne: criticità più evidenti, specialmente al Sud, attengono all’assunzione a tempo parziale involontario di persone straniere e di coloro che possiedono un basso titolo di studio.
Andrea Valsecchi