In Cina, la memoria del 4 giugno fa paura ma a Taiwan c’è chi non dimentica. Questa settimana è ricorso il 35esimo anniversario della strage di piazza Tienanmen: nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989, il Partito comunista cinese metteva fine alla protesta pacifica dei manifestanti che chiedevano libertà e riforme, mandando l’esercito a spare sulla folla. Si dibatte ancora sui numeri: centinaia, migliaia, forse oltre 10mila morti. Comunque, fu una strage. Chi prova a ricordare quell’episodio, viene silenziato dalle istituzioni cinesi che 32 anni dopo Tienanmen, nel 2021, sono riuscite a imporre la legge di Pechino anche ad Hong Kong, decretando la fine dello status democratico del “Porto profumato”.
In Cina è rischioso parlare del 4 giugno e si cerca di ricorrere a diversi escamotage per aggirare la censura, ma a poche centinaia dalla costa, la situazione è diversa. Il nuovo presidente di Taiwan, Lai Ching-te, ha scritto su Facebook che “i ricordi del 4 giugno non scompariranno nel torrente della Storia e continueremo a lavorare duro per mantenere viva questa memoria storica”. Per i taiwanesi non si tratta del passato, ma del presente. Tienamnen, infatti, “ci ricorda che la democrazia e la libertà non sono facili da raggiungere” ha dichiarato Lai Ching-te, aggiungendo che è necessario “rispondere all’autocrazia con la libertà e affrontare l’ascesa dell’autoritarismo con coraggio”.
Nel frattempo, Pechino ricorre alla forza militare. Ieri il ministero della Difesa taiwanese ha dichiarato di aver rilevato ben 23 aerei cinesi attorno all’isola, “di cui 16 hanno attraversato la linea mediana” che divide lo Stretto di Taiwan. Una ruotine, ormai, dal momento che la mossa cinese arriva dopo che Pechino ha inviato otto navi da guerra e altri mezzi sempre attorno all’isola che il Partito comunista cinese considera come territorio della Cina continentale.