I dati del sondaggio di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza con le risposte di 555 imprese del territorio. Il 52% lo adotta, soprattutto nelle attività servizi alle imprese, e al massimo fino a 3 giorni alla settimana.
A quattro anni dalla pandemia che ha dato una forte spinta alla modalità di lavoro da remoto, il suo utilizzo è profondamente cambiato. Se, infatti, durante il periodo Covid lo smart working era esploso impattando fortemente sui flussi di entrata a Milano e creando gravi difficoltà a molte imprese commerciali – quelle della ristorazione in particolare, per le quali oltre il 20% del fatturato è dato dalla pausa pranzo -, oggi continua ad essere adottato nel terziario ma con un utilizzo ridotto di giornate e soprattutto da imprese con determinate caratteristiche e strutture organizzative.
A dirlo sono le risposte di 555 imprenditori al sondaggio di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza. All’indagine hanno risposto in prevalenza (28,1%) le attività di servizi alle imprese (Ict, consulenza finanziaria, selezione del personale ecc.) mentre fra le attività del commercio più risposte si sono avute dal dettaglio non alimentare (10,6%). L’8,3%, invece, le risposte dai professionisti e il 7,7% dall’ingrosso non alimentare. Hanno risposto in prevalenza (73%) le imprese fino a 19 addetti e attive a Milano ed area metropolitana (75%).
In particolare, è emerso che il 52% delle imprese intervistate ha confermato di ricorrere alla modalità di lavoro da remoto prevalentemente dai due ai tre giorni alla settimana. Di queste aziende, la metà appartiene al comparto dei servizi alle imprese. Quasi il 60% degli intervistati che applicano lo smart working hanno iniziato a farlo proprio durante la pandemia.
Fra i principali motivi che hanno portato le imprese a ricorrere allo smart working prevale il miglioramento nel rapporto tra vita privata e di lavoro (37%), seguono la riduzione dei costi (14%), l’incremento della produttività e la possibilità di attrarre/trattenere talenti (entrambe al 13%). Sempre il tema della produttività – ma al negativo – emerge, invece, come prima causa d’interruzione d’utilizzo fra le imprese (il 42% di chi ora non usa lo smart working) che dopo il periodo del Covid hanno poi scelto di non proseguire l’esperienza dello smart working (22%). Tra le altre motivazioni rientrano le difficoltà procedurali (sempre il 22%) e la mancanza d’interesse (16%). C’è poi un’ampia fascia di imprese (28%) che non ha mai adottato lo smart working, in particolare le attività al dettaglio non alimentare e le attività di ristorazione, per il semplice fatto che il tipo di attività non si presta per il suo utilizzo.
In generale, nel giudizio delle aziende nei confronti dell’attività di smart working, la produttività dei dipendenti in smart working è considerata maggiore (34%) o uguale (35%) al lavoro tradizionale. Relativamente agli aspetti più critici del lavoro da remoto, le aziende segnalano il gap di relazione umana (44%), la difficoltà nel separare il lavoro dal tempo libero (23%) e la difficoltà nel saper gestire il lavoro (22%).
Le imprese ricorreranno allo smart working in futuro? Assiduamente sì per il 36% degli intervistati, solo occasionalmente per il 30%, mentre il 34% non ripeterà l’esperienza. “Dai dati emerge chiaramente come lo smart working venga ora applicato con attenzione e non in modo indiscriminato come durante il periodo Covid. Ed anche la durata settimanale è circoscritta – osserva Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza –. Sul fronte del lavoro, Milano sta trovando un maggiore equilibrio, evitando gli effetti distorti provocati dall’emergenza pandemica”.