Lo scenario descritto dall’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio parla chiaro: in dodici anni perse 180mila imprese e ridotta la quota di imprese giovani sul totale di oltre il 3%. Con un tasso di imprenditoria giovanile pari a quello del 2011 oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil.
Come incide la carenza di giovani nell’imprenditoria italiana e, più in generale, nella crescita del Paese? Negli ultimi quarant’anni in Italia si è assistito ad una decrescita della popolazione giovanile che oggi ha un saldo negativo di circa dieci milioni, mentre è quasi raddoppiata la quota di ultrasessantacinquenni. Dati che si riflettono anche nell’economia con 180mila giovani imprese perse e la quota di imprese giovani sul totale ridotta di ben 3,1 punti percentuali in dodici anni. Se il tasso di imprenditoria giovanile fosse pari a quello del 2011, oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil. È questo lo scenario descritto dall’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio “L’importanza dell’imprenditoria giovanile per la crescita economica” presentata in occasione del XV Forum nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio.
In quarant’anni nel nostro Paese si è passati da 32,3 milioni di giovani del 1982 a 22,8 milioni del 2023, mentre gli ultrasessantacinquenni sono quasi raddoppiati (da 7,5 milioni del 1982 a 14,2 milioni del 2023), determinando così una mancata immissione di nuove forze nel complesso della popolazione. Nel 1982 un giovane entrava nella vita professionale nella cornice macroeconomica di un rapporto debito/Pil del 61% (13.163 euro pro capite), mentre nel 2023 questo rapporto è più che raddoppiato (134,6%, pari a oltre 48mila euro a testa). Considerando l’aspettativa di vita alla nascita e, quindi, la vita residua di un trentenne nei due anni di riferimento considerati, un giovane quarant’anni fa doveva sopportare un debito annuale di 295 euro contro gli oltre 910 euro di oggi. E ancora, nel 1982 lo stesso giovane entrava con una pressione fiscale media sotto il 32% mentre oggi patisce il 41,5%. Mettendo insieme debito pro capite attuale e prospettico e pressione fiscale si comprende come si sia instaurato un circolo vizioso che deprime l’autoimprenditorialità: un giovane ha debiti contratti da altri che deve ripagare attraverso un fisco più gravoso.
Guardando alle macro aree del Paese e focalizzando l’attenzione al periodo 2011-2023 questi fenomeni si sono concentrati ed esasperati. La perdita di popolazione italiana è tutta registrata al Sud (1 milione di abitanti) che perde abitanti anche a causa dell’emigrazione verso Nord e all’estero, mentre non attrae stranieri. Più della metà della perdita di giovani è nel Mezzogiorno (ben 1,9 milioni su un totale di 3,7 milioni). Peggiori condizioni economiche comprimono, infatti, la demografia e senza demografia non c’è crescita.
Nel medesimo periodo in Italia si sono perse 180mila imprese giovani, guidate da imprenditori under 35, di cui più del 40% nel Mezzogiorno (oltre 78mila). Una perdita solo in minima parte attribuibile alla transizione demografica: se in un dodicennio, da un lato, la popolazione complessiva è scesa dell’1,9% e quella della fascia tra i 25-39 anni del 19,9%, dall’altro, il totale delle imprese è diminuito del 3,4% e quelle giovani di ben il 28,6%. E, in particolare, tra il 2011 e il 2023 il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale delle imprese, si è ridotto di ben 3,1 punti percentuali, passando dall’11,9% all’8,8%. Con una quota di imprese giovani pari a quella del 2011 oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil. La quota di imprenditori giovani sul totale delle imprese ha, infatti, un impatto positivo e statisticamente significativo sulla crescita economica, a parità di altre condizioni: i risultati delle elaborazioni indicano che al crescere dell’1% assoluto della quota di imprese giovani la crescita sarebbe maggiore tra lo 0,9% e l’1,2% in media per ciascuna provincia.
Come contrastare il declino? Incrementando il tasso di imprenditoria giovanile soprattutto nel terziario di mercato che negli ultimi trent’anni è il settore che ha generato la crescita economica e l’occupazione (+3,5 milioni di occupati standard a tempo pieno dal 1995 al 2023 rispetto a meno di un milione negli altri comparti), e riducendo lo squilibrio generazionale: “Senza imprenditoria giovanile la stessa crescita, lo sviluppo, del Paese procede con il freno a mano tirato – ha dichiarato il presidente Giovani Imprenditori di Confcommercio, Matteo Musacci – da un punto di vista innanzitutto quantitativo ma anche qualitativo: le imprese giovanili portano nel mercato energie, prospettive e competenze che rappresentano un irrinunciabile canale di innovazione e creatività”.